Il calcio è un sogno chiamato Croazia

La Croazia da punto interrogativo diventa realtà fatta di collettivo, umiltà, caparbietà, classe, organizzazione e un sogno da realizzare

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Il calcio è fatto di cose semplici. Un rettangolo verde, undici uomini che lottano per un unico obiettivo.
Il calcio è una maglia sudata, una zolla di erba staccata, un aggancio al limite dell’area e la palla che entra in rete.

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Il calcio ieri sera è stato il colpo di testa di un magistrale Perisic e la tenacia senza fine di Mandzukic, il condottiero senza paura, che a 7 minuti dai calci di rigore – gli ennesimi – per la Croazia, si carica la squadra sulle spalle e la trascina, letteralmente, in finale.
Sovvertendo pronostici, sicurezze e l’alterigia anglosassone che già si vedeva proiettata a domenica contro la Francia.
Il calcio è ancora vivo fino a quando potremo assistere a un Mondiale come questo di Russia che condanna all’ombra il funambolo Neymar e innalza sull’altare un calciatore umile e indistruttibile e che ci fa assistere alla trasformazione di una squadra da punto interrogativo a assoluta certezza.
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Guidata da un mister ai più sconosciuto ma che ha già fatto la storia di una Nazione che, per la prima volta nella propria esistenza, arriva a disputare la massima partita di un Campionato del Mondo.
Scusateci se preferiamo questo calcio: vero, fatto di poche luci e pochi riflettori, senza annunci speciali e titoloni ridondanti che catalizzano intere piazze. Scusateci se al fenomeno preferiamo la normalità, se alla Star preferiamo un collettivo che diventa tutt’uno.
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Forse, in ciò che ha fatto la piccola Croazia non c’è nulla di normale se non un piccolo, gigantesco sogno che si realizza.
Daniela Russo