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Il Calcio dalla A alla Z di Francesca Turco

Il Calcio dalla A alla Z della giornalista sportiva Francesca Turco

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Francesca Turco, speaker radiofonica molto nota stimata dal pubblico laziale.

Il Calcio dalla A alla Z di Francesca Turco

La vita è una partita di calcio fra un ciak e l’altro

Nasce da questo pensiero la rubrica di Gol di Tacco a Spillo, il web magazine regolarmente registrato come testata giornalistica composto esclusivamente da donne. Parlare di calcio al femminile, in toni talvolta meno seri e magari più ironici è uno degli intenti della redazione più rosa del web.

A sottoporsi oggi alla nostra valanga di domande è la collega Francesca Turco.

Francesca Turco

Giornalista sportiva, speaker radiofonica con esperienza decennale alle spalle, Francesca è un volto noto e amatissimo dalla tifoseria biancoceleste.

Amore: Quella con la squadra del cuore è la più bella storia d’amore che si possa vivere. È l’unico amore di cui non pretendi l’esclusiva ma sei felice di condividere con gli altri. Quelli della tua squadra sono gli unici tradimenti che dimentichi dopo 24 ore.

Bandiera: Italiana. Senza dubbio. Vederla sventolare in qualsiasi gara, di qualsiasi sport, è un orgoglio. E’ anche l’unica accezione che mi viene in mente. Nei club non c’è più spazio per le bandiere e per gli uomini simbolo. Restano le maglie, fin quando non cambieranno anche i colori sociali per ragioni di marketing.

Calcio femminile: Dal prossimo luglio a calciatrici e allenatrici verrà riconosciuto lo status di professioniste e potranno stipulare contratti che prevedano tutte le tutele finora riservate al professionismo maschile: dal trattamento sanitario, a quello previdenziale e pensionistico. Arrivare a questo risultato è stato un percorso a ostacoli, anche osteggiato. L’importante è che sia arrivato.

Derby: L’unica partita che devo riguardare prima di commentare. La percezione dal vivo non corrisponde mai al reale. Ci sforziamo di dire che in palio ci sono 3 punti come in tutte le altre gare del campionato, ma è una forma di snobismo che non convince nessuno. Non ci credeva nemmeno Zeman che è stato il primo a definirla “una partita come le altre”. Il derby è LA PARTITA, a Roma come in tutte le piazze che hanno la fortuna di avere una rivale in città.

Emozioni: Quelle che regala il calcio, nel bene e nel male, sono uniche. Colorate, opposte, irrazionali. Si passa dalla felicità allo sconforto in un attimo e viceversa. Sono quelle emozioni di cui non ci si vergogna. Ho visto piangere, anche di gioia, le persone più insospettabili.

Fuorigioco: Lo associo subito al gol di Turone in quello Juve-Roma dell’81 e al mantra “er go’ de Turone era bbbono”. Forse perché è la “questione di centimetri” più famosa e discussa della storia del pallone italiano. Con i mezzi attuali avremmo azzerato anni di polemiche e rivendicazioni. Oggi la tecnologia ha reso e renderà il fuorigioco praticamente una certezza azzerando anche le discussioni in campo e più andremo avanti più sarà oggettiva, già a partire dal Mondiale in Qatar quando verrà introdotto il fuorigioco semiautomatico in 3D.

Gavetta: Necessaria. Sempre e in ogni campo. Ti forgia il carattere e ti prepara alle situazioni più complicate.

Hooligans: Un fenomeno che l’Inghilterra ha saputo sconfiggere grazie al pugno duro e misure drastiche che hanno trovato la convergenza di tutte le parti in causa. Spesso il termine torna fuori per definire le frange più oltranziste del tifo di casa nostra. Sebbene ci sia ancora qualche rigurgito che va ovviamente soffocato e stigmatizzato, il paragone con quei tempi per fortuna è improponibile.

Invasione di campo: 14 maggio del 2000, ultima di campionato. Nei minuti finali di Lazio – Reggina l’arbitro Borriello fischia un fallo di gioco che viene scambiato per il fischio finale. I tifosi che già erano scesi dagli spalti e si erano portati a bordocampo si riversano in campo a festeggiare comunque il sorpasso sulla Juventus. Un’impresa convincerli a tornare sugli spalti per terminare la partita. Scenderanno ancora, per aspettare tutti insieme sul prato il finale da Perugia. Poi il delirio.

Jolly: Può essere il giocatore che torna utile in più ruoli, di quelli che un allenatore vorrebbe sempre in rosa, oppure quel tiro della domenica che si infila all’incrocio dei pali. Più ci penso e più rivedo il gol di Almeyda contro il Parma e la faccia di Buffon sorpreso da quel bolide da 40 metri.

Ko: “Il successo può essere deformante: rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci fa innamorare troppo di noi stessi. Al contrario, l’insuccesso è formativo: ci rende stabili, ci avvicina alle nostre convinzioni, ci fa ritornare ad essere coerenti”. È una frase di Marcelo Bielsa, la sconfitta è un aspetto della competizione, tanto vale trasformarla in un fattore per migliorarsi.

Legno: Palo, traversa. Quella linea sottile tra esaltazione e insuccesso che capita nel calcio e nella vita. Ma nel mio immaginario è anche il legno delle panche dello spogliatoio, quel luogo sacro e inviolabile dove entra un gruppo di calciatori e ne esce una squadra.

Mister: Quello che quando vince è merito della squadra e quando le cose non vanno paga per tutti. Non mi piace come vengono trattati gli allenatori. Detto questo amo i visionari, gli esteti, quelli che griffano una squadra, che la rendono riconoscibile. Zeman, Sacchi, Bielsa, Sarri e uno su tutti: Pep Guardiola.

Nazionale: Sono una tifosa sfegatata della Nazionale, l’aver mancato per la seconda volta consecutiva l’ingresso al Mondiale è stato un dispiacere senza pari. Un Mondiale è un’esperienza magica con il rito imperdibile delle partite seguite in gruppo, in famiglia o con gli amici. Considerato che sono già 8 anni che l’Italia non si qualifica e ce ne vorranno altri 4, sperando che vada bene, per l’edizione del 2026, avremo una generazione e mezza senza ricordi azzurri. Un delitto. Però mi fido di Mancini e faccio il tifo per lui.

Onestà: Dovrebbe essere insita nel concetto di sport ma non lo è. Già dalle scuole calcio ti insegnano a essere scaltro, a come buttarti in area quando ti senti appena sfiorato, a come simulare un infortunio per perdere tempo, a come commettere qualche scorrettezza per non essere beccato dall’arbitro. Invece i bambini andrebbero educati all’onestà, magari con l’esempio di positivo dei più grandi. Ma fin quando episodi di onestà e lealtà sportiva – penso a Di Canio in Premier che rinuncia a segnare con l’avversario a terra – faranno clamore significherà che siamo lontani dall’obiettivo.

Paura: Ci ridiamo su. Quella sul viso di Parente durante un Lazio-Ancona quando fu preso al collo e sollevato da Jaap Stam.

Q…: quattro-tre-tre. Il mio modulo preferito da Zeman a Sarri, passando per Mancini. Calcio propositivo, offensivo, estetico. Si gioca per far gol in primis, l’essenza di questo sport.

Rigore: O massima punizione, quella che per fischiarla deve essere lampante e certa. Invece vedo punire contatti ridicoli. Robe che nemmeno il VAR ha scongiurato del tutto e i tarantolati in campo e in panchina non aiutano. Poi c’è il rigore nel senso di serietà, indispensabile in ogni professione. Senza esagerare e senza trasformarlo in intransigenza.

Social network: Una fonte di notizie. Una chiave di accesso a informazioni personali, dirette, immediate e certificate. Faccio un esempio: venivamo a conoscenza dei contagiati dal Covid dai profili personali dei giocatori quando i club, per privacy, non comunicavano i nomi. Capisco però che sono un grande problema per le società che devono monitorarne la gestione – non sempre “responsabile” o “istituzionale” che ne fanno i tesserati, soprattutto i più giovani.

Stadio: L’Olimpico. Fin da bambina tranne la parentesi per i lavori di Italia 90 al Flaminio. Una casa piena di emozioni ma una casa che ormai ha fatto il suo tempo. Da lasciare in uso alla Nazionale, al Gran Galà dell’atletica, al rugby, ai concerti. I club devono averne uno di proprietà, non si scappa. Moderno, sicuro e funzionale.

Tacco: Roberto Mancini. Non al derby ma quello contro il Parma al Tardini. Corner di Mihajlovic, tacco volante senza guardare la porta. Palla sotto alla traversa e Vieri che gli urla: “Mancio ma che hai fatto???”. Gesto tecnico pazzesco anche solo da pensare.
Urlo: Sempre e solo quello di Marco Tardelli! 5 luglio 82, Stadio Santiago Bernabeu, finale del Mondiale contro la Germania, gol del 2-0 per l’Italia. Il mio Mondiale. Più prezioso dell’Urlo di Munch.

Vittoria: Né con Decoubertin che diceva che l’importante è partecipare, né con Boniperti che diceva che è l’unica cosa che conta. Non conosco altro modo di vincere che quello di far meglio dell’avversario. È l’unico atteggiamento che, magari alla lunga, premia.

Wags: Non ci sono più le mogli di questo o le fidanzate di quest’altro. Oggi può succedere addirittura che abbiano più followers dei loro compagni. Sono belle, solari e alcune anche molto simpatiche. Influenzano mode, stili e gusti. Non vedo cosa ci sia da criticare.

Xenofobia: Triste che 2022 se ne debba ancora parlare.

Ying e Yang: Il calcio e il business, sentimento e denaro. Due mondi disarmonici che oggigiorno non possono più respingersi ma devono diventare complementari. Per il bene di questo sport, le istituzioni calcistiche trovino il giusto equilibrio tra le due componenti, senza tirare troppo la corda. Senza la passione dei tifosi il calcio muore.

Zona Cesarini: La famosa frase “Sei bella come un gol al 90°” spiega la zona Cesarini meglio di qualsiasi altra cosa. L’ultimo secondo utile per prendersi una gioia, l’esplosione di felicità proprio quando tutto sembrava compromesso. Il sinonimo di crederci sempre e non mollare mai. A proposito, la frase ha bisogno di essere attualizzata: spostiamola avanti di qualche minuto, almeno 5 o 6.

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