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Gonzalo Higuain, passione e lacrime

Lacrime alla conferenza d'addio di uno dei giocatori più importanti dell'ultimo decennio. Vizi e virtù dell'ex Real Madrid, Napoli e Juventus

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Oggi sono qui, per raccontarvi la mia storia. È arrivato il giorno per dire addio al calcio, una professione che mi ha dato tanto, e io mi sento privilegiato di averlo vissuto, con i suoi momenti belli e non così belli.” 

Inizia così Gonzalo Higuain, la sua conferenza stampa in cui annuncia il suo ritiro dal calcio giocato, dopo 17 anni di carriera fra grandi club e la nazionale albiceleste.

Il “Pipita” conclude la sua carriera con l’Inter Miami, al termine del contratto in scadenza il prossimo 31 dicembre 2022. Alla presenza dei suoi compagni, di giornalisti, e della sua famiglia, tra cui in prima fila sua moglie Lara e sua figlia Alma, è poi scoppiato in lacrime. 

Lacrime che sanno di sincerità, perché in questi anni, abbiamo cercato di comprendere quel lato del campione argentino, che nonostante le imprese e i goal memorabili, non ha mai tenuto nascosto. Una fragilità, spesso complice di alcuni suoi comportamenti in campo. 

Per comprenderlo meglio però, sembra necessario un piccolo passo indietro, fino ad arrivare alla sua infanzia. 

Figlio d’arte dell’ex calciatore Jorge Higuain, nasce a Brest, in territorio francese, dove il padre militava, e di Nancy Zacarias, pittrice di origini palestinesi.

In Francia però, resterà pochi mesi, rientrando subito a Buenos Aires, dove suo padre indosserà i colori biancorossi del River Plate.

Ad appena 10 mesi, deve affrontare il primo grande ostacolo della sua vita: viene ricoverato per una meningite fulminante.

Ha l’animo da lottatore, e lo dimostra fin da quei primi momenti. Però nel suo discorso d’addio, di quel periodo nero più nero che mai, non ha espresso parola. Ha invece, e ovviamente, parlato dei suoi primi passi: 

“Tutto è cominciato quando ero piccolo, nel mio barrio, nell’Atletico Palermo. Ho passato un’infanzia meravigliosa”. 

Palermo è un quartiere di Buenos Aires, uno dei tanti dove il calcio, si respira più forte che mai. Ha guizzo, tecnica e si fa notare. Viene acquistato dal River Plate ad appena 10 anni.

Nella capitale argentina ci sono due squadre a farla da padroni: I biancorossi del River e i rivali del Boca.

Una rivalità antica, storica, che lo stesso Higuain si ritroverà a vivere. C’è una netta distinzione, dicono: differenza di forza, più “bruta” per i gialloblù, e più elegante per il River. Un po’ sarà così, anche nel caso di Gonzalo. 

Ma ritorniamo, alla vida argentina. 

Dopo aver esordito ad appena 17 anni, il suo primissimo momento di gloria sarà proprio nel Superclasico: segnerà una strabiliante doppietta nel definitivo 3-1, datato 8 ottobre 2006. 

È quello il primo guizzo, che lo fa notare oltre oceano. Si sa. Se hai la stoffa di segnare nella partita più sentita dalla tua tifoseria, la strada per la gloria eterna, è già bella spianata. 

Il 14 dicembre del 2006, appena quattro giorni dopo aver compiuto 19 anni, il Real Madrid decide di puntare su di lui: sarà Fabio Capello a volerlo in squadra.

Come una ruota che gira inesorabile, segnerà anche il prezioso gol dell’1-1 contro i cugini dell’Atlético Madrid, nel derby del 24 febbraio 2007.  

Imporsi nel Real, non è mai stato facile per lui, accanto a giocatori del calibro di Ronaldo o di Raul. Nella stagione 2007-08, con in panchina Bernd Schuster, stenta a trovare continuità, schierato spesso in posizioni fuori ruolo. L’allenatore tedesco dichiarò persino: “non so dove metterlo.” 

Forse un suo difetto personale resta proprio la sua estrema sensibilità ed emotività. Basta un nulla per fargli ritornare fiducia nelle sue giocate, e nella sua importanza in campo.

Con il nuovo allenatore Juande Ramos, ritrova minutaggio e rendimento: goal definitivo del 4-1 in Supercopa 2008 e quaterna personale contro il Malaga, l’8 novembre. 

Un nuovo boom, sempre più compreso nello schema vincente dei blancos, con 22 reti e 9 assist in 35 partite: miglior marcatore stagionale della squadra. 

Anche con l’arrivo di Manuel Pellegrini in panchina, la storia si ripete: chiuderà la stagione come vicecapocannoniere della Liga (29 reti in 40 partite). Campione sarà Messi, con appena cinque goal in più.  

La ruota fortunata sembra però prendere una brusca interruzione. È l’arrivo di Cristiano Ronaldo e di Karim Benzema, a fermare la sua affermazione.

Scegliere non è difficile per l’allora allenatore José Mourinho, e Gonzalo, da sempre simbolo della squadra, si vede ridurre notevolmente il minutaggio. E in questo modo, anche un po’ della sua fiducia personale. 

Ha bisogno di costante attenzione, incoraggiamento, e una conferma ulteriore.

Per questo quando entra in campo, cerca di dimostrare appieno la sua energia, e la sua forza calcistica.

Nella stagione 2011/12 segnerà 22 goal, che sommati ai 21 di Benzema e i 46 di Ronaldo, renderanno l’attacco galactico il più prolifico nella storia del Real e della Liga. 

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A cambiare il corso della storia, sarà l’arrivo di Gareth Bale, al tempo il trasferimento più costoso della storia del calcio: 100 milioni.

Una rescissione concordata da entrambe le parti, che porteranno Gonzalo e suo fratello Nicolas, suo agente, a cercare una squadra che possa, innanzitutto, ridargli l’acclamazione costante, che tanto sembra desiderare. 

Al momento dei primi contatti, non sembrava certo preparato per ciò che sarebbe accaduto dopo. 

“Dopo Madrid, fu il momento di Napoli, una squadra che ringrazierò sempre per tutto quello che abbiamo vissuto insieme e per il modo in cui sono stato trattato negli anni azzurri.” 

Higuain sceglie Napoli, e il Napoli e la tifoseria azzurra lo accolgono.

La fine con il Real, sembra avergli lasciato un vuoto, un senso di delusione. Ed è qui, all’ombra del Vesuvio, che Gonzalo può dimostrare al massimo la sua emotività.

Nelle due stagioni con Rafa Benitéz, fa più che bene, con 53 goal e 23 assist: segna alla Juve e alla Lazio, vincendo anche la Coppa Italia e la Supercoppa italiana (2014). 

Dopo l’addio di Cavani, la piazza napoletana accoglie Gonzalo, come un simbolo: il Pipita, il numero 9, è quel giocatore argentino, che sa di nostalgia, erede di Maradona e Lavezzi 

È con l’arrivo di Maurizio Sarri che inizia per Higuain, il momento più alto, emotivamente e calcisticamente, più alto per la sua carriera.

È dinamismo allo stato puro, quello che si respira nell’allora San Paolo, con le sue lacrime di gioia al termine delle partite.

Non mancano i momenti di fragilità, di esuberanza, come nel caso del match contro l’Udinese, in cui dopo essersi fatto espellere, esce dal campo in lacrime. Con lui è tutto o niente. Non ci sono mezze misure nella stagione che ha definito:  

“La migliore della mia carriera.” 

Il goal in rovesciata, nell’ultima giornata nel 4-0 al Frosinone (tripletta personale), è l’apoteosi di quel giocatore, amato e odiato, in un’eterna lotta tra giocatore e persona. Quel goal gli varrà il record personale di goal segnati da un calciatore in una stagione: 36, record poi eguagliato nella stagione 19/20 da Ciro Immobile. 

In quel momento per li sembrava aver raggiunto il massimo della gloria, e in effetti era vero. 

A quasi 30 anni, scatta nella sua mente una convinzione, che forse non era mai stata presente prima. Ha piena consapevolezza nei suoi mezzi, ha voglia di vincere.

Con il Napoli gli sembra impossibile, e quindi con una mossa, che sa di fuga notturna, eccolo tinto di bianconero.  

Higuain alla Juve, resterà per tanto tempo, il trasferimento più costoso della Serie A: pagata clausola rescissoria di 90 milioni.  

È un nuovo inizio, goal a raffica, e vittorie che si accumulavano: Coppa Italia e Scudetto.

Sfuma il sogno Champions, quello per cui la Juve decise di puntare tutto su di lui. “Ha deliziato,” come ha precisato Massimiliano Allegri.

Perché sì, è sempre riuscito a regalare gioie immense ai tifosi bianconeri: in primis in goal di rovesciata al Sassuolo, primo in bianconero. E poi ancora, la rete contro l’Inter che riaprì la lotta scudetto, contro il Napoli. Esuberante, preciso, forzuto. 

Non deluderà neanche nella stagione seguente. Nonostante i ripetuti successi, però, non abbandonerà mai quella sensazione di sbaglio, dovuta in parte e soprattutto alla Nazionale.

Ad appena 30 anni deciderà di abbandonare l’albiceleste, complice una carica mediatica contro di lui, da parte dei tifosi: Brasile ‘14, Cile ‘15, Stati Uniti ‘16. 

Una personalità fragile, che nella ruota che gira, si ritrova a vivere anche a Torino, il carico di eterno secondo. L’arrivo di Cristiano Ronaldo, compagno al Real, lo relega a un brusco prestito: al Milan.

Un lento declino verso il baratro. Non si sente apprezzato, la società non è nel momento migliore, e lui si ritrova bersagliato dalle critiche: ha bisogno di fiducia. 

Dopo una breve parentesi al Chelsea, dove ritroverà Maurizio Sarri, le cose non sembrano cambiare. Segna poco, e soprattutto sembra aver perso quello spirito combattivo, che per anni lo aveva caratterizzato. 

Il suo rientro alla Juventus sarà lento, quasi impercettibile. Un vulcano in attesa, che senza acclamazione e fiducia, può fare ben poco. Basta un nulla, ed eccolo lì, pronto a ridare un forte scossone alla sua vita.

Una fragilità che diventa cattiveria, le sue tremende azioni da goal, che lo rendono inesorabilmente uno dei giocatori che hanno marcato di più le ultime stagioni della Serie A.  

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Nonostante la vittoria dello Scudetto, la stagione si conclude con una decisione: giocare nell’Inter Miami.

Dopo un lungo periodo, tra Covid e l’aggravarsi della malattia della madre, Gonzalo decise: vuole pace, senza pressioni legate alle vicende calcistiche e extracalcistiche. 

Ora ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. Emotività, fragilità, delusione, rabbia. Tutto questo è stato Gonzalo Higuain. Maradona lo definì simile ai connazionali Crespo e Batistuta. Una figura complessa, spesso trasportata dai sentimenti, e un giocatore eccezionale, che resterà negli annali della Serie A e del calcio mondiale. 

 

Rosaria Picale

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