Tecnico, resistente, potente.
Di Gianluigi Lentini, grande campione del Toro e del Milan, uno dei calciatori più promettenti della sua epoca, si ricordano soprattutto queste caratteristiche, le stesse che lo hanno messo in luce durante un provino con i reclutatori del settore giovanile Granata nel 1979.
Centrocampista ecclettico, capace di giocare da 11 classico, sulla fascia sinistra, ma anche come seconda punta, Lentini ha esordito nella massima serie ad appena diciassette anni, con Gigi Radici sulla panchina del Torino.
Dopo una breve parentesi con i Cadetti dell’Ancona, sarà proprio con i colori granata addosso nella stagione 1989/90 che si rivelerà indiscutibilmente protagonista della rimonta del Torino in Serie A l’anno successivo, da titolare, con 34 presenze e 5 reti.
Non solo; Lentini e la sua squadra sfioreranno la vittoria nella finale di Coppa Uefa (1992), persa contro l’Ajax per un soffio.
Ma il futuro di Gianluigi, Gigi come viene chiamato, avrò colori diversi; al termine della stagione 1991 – 1992 la situazione economica del Torino è disastrosa, complice anche la campagna acquisti dell’ultimo biennio; la società si vede costretta a cedere e uno dei primi ad essere ceduto è proprio Gigi.
L’affare lo fa il Milan che per la cifra incredibile per l’epoca di 18,5 miliardi di lire ne acquisisce il cartellino e lo scippa alla Juventus, fortemente interessata a lui; i tifosi granata non accolgono bene la maglia rossonera: “Sbagliai a dire che non volevo lasciare il Toro – ha dichiarato Lentini alcuni anni fa in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica – era vero ma non dovevo dirlo, mi avevano già venduto e non lo sapevo, così sono passato per traditore”.
Ci sarà anche un processo contro Berlusconi, imputato per aver elargito altri 10 miliardi fuori bilancio alla società torinese.
Nel Milan di Berlusconi e di Capello, Lentini giocherà trenta volte in campionato, si aggiudicherà due Supercoppe, tre Scudetti, una Coppa dei Campioni e una Supercoppa Uefa.
Ma di nuovo il destino decide per lui: 2 agosto 1993. Un’incidente automobilistico. Il coma. Il risveglio. I riflessi intorpiditi, anche in campo quando tornerà.
Impiegherà due stagioni per ritrovare la forma perduta ma la finale di Coppa dei Campioni del 1995, contro l’Ajax a Vienna, non la giocherà come vorrebbe, nonostante le sue certezze; Capello lo tiene in campo pochi minuti.
Lascerà i rossoneri nel 1996 per passare all’Atalanta prima e fare ritorno al Toro poi; dopo il Cosenza militerà nel calcio minore.
Oggi Gigi gestisce un locale a Carmagnola, città dell’interland torinese della quale è originario; si dedica alla sua passione per il biliardo, partecipando anche a competizioni.
L’addio al calcio giocato gli ha lasciato il rammarico, come ha ribadito in varie occasioni, quello di non essere riuscito a giocare mai un Mondiale, pur avendo indossato la maglia della Nazionale per tredici volte.
Silvia Sanmory