Il tecnico calabrese “Ringhio” Gattuso, dopo aver rilevato una squadra spiritualmente sgangherata, l’ha rifondata nella mente e nel fisico fino a portarla al successo in Coppa Italia.
Può apparire scontato o retorico pensare ad una cosa del tipo “Chi l’avrebbe mai detto?”, in riferimento a quello che è accaduto e sta accadendo al Napoli?
Forse sì, o forse no.
Quel che è certo è che in pochi, a partire dallo scorso novembre, avrebbero scommesso anche un solo euro sulla rinascita del Napoli.
Dopo un avvio incerto di stagione sotto la guida di Ancelotti, alla sua seconda stagione azzurra, dopo qualche sconfitta con degli erroracci quasi indegni di una squadra che da anni occupa in qualche modo “i piani alti” della classifica.
Dopo l’increscioso momento di crisi e smarrimento dovuto all’ammutinamento dei giocatori seguito al match di Champions contro il Salisburgo, dopo l’addio di Ancelotti, nel bel mezzo del guazzabuglio come momento più basso probabilmente della gestione di De Laurentiis.
Dopo questa “infiorescenza” di tristezza e negatività, l’arrivo di Gattuso ha, diciamolo, diviso ancora di più una piazza disfatta e amareggiata (semmai ce ne fosse ulteriore bisogno).
Ma si sa: chiunque abbia la passione del pallone, e una conoscenza anche base del calcio degli ultimi venti anni circa, non può ignorare chi e cosa rappresenti uno come Rino Gattuso nel calcio italiano e non solo.
Tredici anni al Milan, col quale ha vinto tutto ciò che era possibile vincere.
Un passato nella Salernitana, nei Rangers di Glasgow e nel Perugia, mostruoso centrocampista dalla forza fisica prorompente, una personalità espressa in campo con una grinta da far tremare gli avversari, un titolo mondiale vinto con la Nazionale nel 2006.
Un autentico pezzo da 90 della storia più recente del pallone trasformatosi in allenatore con prime esperienze non memorabili ma che, scelto da ADL per risollevare il Napoli (al quale forse non sarebbe bastato un argano a motore), da dicembre ad oggi ha rimesso a posto un gruppo mentalmente demotivato e presumibilmente smembrato negli intenti e nelle speranze.
Il famoso concetto di “Testa bassa e pedalare” sembra che mister Gattuso lo abbia stillato in ognuno dei suoi giocatori, dimostrando sin dall’inizio di saper incassare come un pugile navigato i colpi bassi della stampa e dei tifosi, non sempre benevoli nei suoi confronti.
Un periodo iniziale fatto di alti e bassi che, nel momento in cui sembrava aver deciso di posizionarsi sulla pista di decollo, pronto a rullare pesante e decollare, ha visto il suo improvviso e sconcertante stop causa COVID.
Un discorso lasciato interrotto per troppo tempo in più parti (campionato, Champions, Coppa Italia), che avrebbe potuto minare nuovamente il delicatissimo equilibrio fino ad allora tessuto filo a filo dal temerario calabrese.
Invece Rino è ripartito di slancio dopo l’ok per la ripresa degli allenamenti e la prospettiva di poter riprendere in mano la stagione, colpito poco dopo al cuore da un inimmaginabile e disumano dolore per la perdita della sorella.
Forse si ha paura ancora del rischio di fare retorica ma non è così: la realtà parla chiaro, anzi urla.
La semifinale di ritorno di Coppa Italia contro l’Inter ha mostrato un uomo forte, dignitoso, professionale e desideroso solo di riprendere quel discorso DI SQUADRA bruscamente interrotto dalla pericolosa pandemia.
Scelte spesso impopolari, qualche inesattezza, a detta dei più, su modulo messo in campo, sui cambi, sulla lettura della partita.
Forse Gattuso per tanti ha ancora da imparare per diventare un signor allenatore, ma signori cari, giù il cappello dinanzi al motivatore e scuotitore di genti e di menti, giù il cappello dinanzi alla concretezza, alla fiducia riposta nel gruppo, alla testardaggine, al modo di comunicare con i calciatori usando all’unisono testa e cuore, imprescindibili per chi sa di essere un uomo del Sud, legato a doppio filo alle radici sempre e orgogliosamente usate a vessillo di sé.
L’aver portato da condottiero la squadra alla conquista della Coppa Italia e tenerla ancora legata ai vagoni del treno della Champions e del buon piazzamento in campionato, sono la riprova che ci sia un fondamento solido e resistente nel gruppo degli azzurri, cosa che era oggettivamente venuta a mancare nell’ultima fase dell’avventura ancelottiana.
La Coppa per ora ha consegnato Gattuso alla storia del club; ancora c’è tanto da fare ma per lui, autentico “uomo d’amore” (per dirla alla maniera del mitico ed indimenticabile Luciano De Crescenzo), potrebbe essere questo solo l’inizio roseo, anzi azzurro, nella città dell’ Ammmore.
Simona Cannaò