Io non sono GAY, io sono ATLETA
È un urlo quello di Cristian. Liberatorio e soffocato. Rivelatore e strozzato. Ma se a liberarsi è la sua voce, a cadere verso il basso è la sua anima. Perduta. Spenta. Annichilita. Perché Cristian no, non può essere gay. Non deve.
Cristian è il guerriero che ogni domenica scende nell’arena e lotta mentre la folla grida incessantemente il suo nome. Cristian è l’eroe della domenica. L’idolo della Champions. Il terzo posto al Pallone d’Oro.
E un guerriero non può né deve essere gay.
E nient’altro importa. Non importa se la tua identità viene schiacciata dal sapore agrodolce delle luci della ribalta. Se la tua anima cade nella rete di sua maestà l’Immagine. E viene lesa, detoriata, annichilita da sua Altezza Apparenza. A dominare è la negazione della tua identità a vantaggio di fama, successo, denaro.
Non importa se la tua stessa esistenza viene soffocata. Se la tua libertà fagocitata. Tu sei Atleta. Tu sei Maschio.
E in fuorigioco ora non va più un pallone. Ma amici, famiglia. La tua stessa Vita.
È il più grande tabù del mondo del calcio ad andare in scena. Assorbendola completamente fino all’ultima battuta. Fino all’ultimo sospiro.
Attraverso l’iniziale metafora dello spogliatoio il testo di John Donnelly mette in scena l’ultimo tabù esistente nel mondo del calcio: l’omosessualità. Una tematica necessaria per il periodo storico sociale in cui viviamo. L’atleta macho osannato dalla folla e seguito da fan/seguaci/follower attraverso quello schermo che tutto può e tutto annulla. L’eroe inseguito da fotografi e giornalisti di rotocalchi pronti a paparazzare le gesta più segrete.
Un’anima inghiottita dal buco catodico dei media che tutto innalzano e tutto schiacciano al servizio di un’irrealtà chiamata immagine.
Notte prima di un debutto
Cristian si sta preparando al debutto in prima squadra, divide la camera con Ade suo amico, oggi rivale. Amici, nemici, rivali. Ma anche amanti. I due non dividono solo una camera d’albergo ma anche gli stessi sogni di gloria. Un posto da titolare in quella partita di Champions.
Hanno una notte intera per ripassare schemi e tattiche. Una notte per non andare in fuorigioco. Nessuno saprà invece che ad andare in fuorigioco sarà quella notte anche la propria identità, o meglio l’identità che i due cercavano in ogni modo di preservare.
Cinque anni dopo…
Cristian si sta separando dalla moglie e lo vediamo in un'(altra) camera d’albergo con una ballerina rimorchiata in un locale notturno. Insieme a loro una videocamera nascosta a immortalare l’intimità della coppia. Le voci di una sua omosessualità si fanno sempre più incalzanti, quale modo migliore per metterle a tacere?
L’epilogo, ovvero la caduta di un’anima
Dodici anni dopo Cristian si sta allenando sulla cyclette di una camera – l’ennesima – d’albergo. Squalificato, infortunato, divorziato, lontano dalla figlia. Ma ancora atleta. Ancora macho. L’uomo idolo a cui tutto è concesso e tutto è perdonato. Anche le bizze da star. I vizi da primadonna.
Ora con lui c’è anche Abe. L’amico dei segreti più nascosti. Di una notte che ha scardinato le loro vite. La notte delle scelte.
Abe oggi fa l’idraulico e vive con il compagno. Ha abbandonato i sogni di gloria e gioca a calcio nei campetti di periferia. È ancora il più forte. E avrebbe potuto esserlo.
Se solo Cristian non lo avesse dimenticato in quel campetto di calcio, se solo Cristian non lo avesse cancellato dagli schemi del mister.
Questa è la notte della resa dei conti. La notte in cui sostanza e apparenza giocheranno la loro ultima partita.
Siamo sicuri che sia stato davvero Abe a perdere quella partita 12 anni fa?
In un match dove il vincitore perde la sua anima e il vinto ottiene la sua libertà, Cristian e Abe offrono allo spettatore due ore di tanti punti interrogativi, sui cui domina uno:
quanto sei disposto a perdere per vincere?
Giusy Genovese