Fu l’estate 2004, l’estate della Grecia Campione d’Europa per la prima volta nella sua storia e delle Olimpiadi di Atene. Furono i mesi in cui questa Nazione fu al centro del mondo sportivo e si svegliò, di nuovo, Magna Grecia, ma una Nuova Magna Grecia, quella fatta non solo di atleti olimpici, corone d’alloro e poeti, ma di calciatori capaci di portarla nell’Olimpo del calcio, il calcio delle imprese, quelle belle e indimenticabili, come la Danimarca del 1992 o il Porto di Mourinho o il Leicester di Claudio Ranieri.
Euro 2024, con l’Italia in quarta fascia e impegnata in un girone di ferro con Albania, Spagna e Croazia, ci riporta indietro di vent’anni, al ricordo di quell’europeo giocato in Portogallo che la Grecia vinse contro ogni pronostico, partendo proprio dalla quarta fascia.
La Grecia arrivò a Euro 2004 dopo anni di delusioni e fallimenti, dopo aver mancato l’appuntamento sia agli Europei del 1996 e del 2000 sia ai Mondiali del 1998 e del 2002. Il 2004 fu l’occasione per mettersi in mostra in un contesto internazionale che mancava da troppo tempo, senza pressioni o aspettative. Il girone era proibitivo con Spagna, Russia e Portogallo, ma Otto Rehhagel, il tedesco Ct alla guida della Grecia, fu in grado di compattare un gruppo di giovani semi-sconosciuti come Charisteas e vecchie leve come Nikopolidis e portarla alla conquista del suo primo e finora unico trofeo internazionale della nazionale greca.
Era la Grecia degli “italiani” Karagounis, Dellas, Vryzas e Zagorakis, ma soprattutto di Angelos Charisteas, attaccante ventiquattrenne del Werder Brema che in quell’estate trovò la gloria eterna, grazie anche alla conquista del titolo in Bundesliga e della Coppa di Germania. Queste vittorie convinsero, infatti, Rehaggel a portare con sé il giovane centravanti agli europei: la scelta fu ampiamente ripagata.
L’attaccante di Serres, piccola città greca ai confini con la Macedonia Centrale, con i suoi gol contro la Spagna nella fase a gironi, contro la Francia ai quarti e in finale contro il Portogallo, divenne il protagonista indiscusso dell’evento, nonostante non fu il capocannoniere della manifestazione, titolo che spettò invece al ceco Milan Baros.
Dopo quell’impresa, Charisteas non riuscì a imporsi allo stesso modo nelle squadre di club, tanto da iniziare un lungo peregrinare che lo portò a cambiare diverse squadre: dall’Ajax al Feyenoord, per poi tornare in Germania al Norimberga con una piccola parentesi al Bayer Leverkusen e allo Schalke 04, ma senza lasciare il segno. Ritornò in patria dopo tanti anni in giro per l’Europa al Panathinaikos, per poi chiudere la carriera in Australia al Sydney Olimpic, dopo una breve esperienza nel mezzo in Arabia, nelle fila dell’Al-Nassr.
Ma fu gloria eterna? Il suo nome, Angelos, rievoca qualcosa di magico, epico e divino, come lui stesso tempo fa ha dichiarato, ricordando il gol di testa che valse la vittoria contro la Francia ai quarti di finale: “ho sentito Dio per un istante, anche tra 50 anni tutti ricorderanno il mio gol”.
Sono passati 20 anni e ce li ricordiamo ancora Charisteas e la sua Grecia Campione d’Europa. Certe imprese, proprio perché isolate e uniche e forse irripetibili, rimarranno impresse nei ricordi di noi appassionati di calcio per sempre.
Martina Giuliano