ESCLUSIVA – Silvia Sanna: “Calcio femminile intriso di pregiudizi ma anche di passione. Quello maschile è ormai una guerra, anche di miliardi. Salvo Del Piero, grande uomo”

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Silvia Sanna, classe 1981. Sarda, laureata in Lettere Moderne, ironica e (questo si evince leggendo la sua biografia) instancabile; Silvia è infatti impegnata su diversi fronti. La scrittura: costante della sua vita. Ha già all’attivo varie pubblicazioni e collaborazioni con numerose testate giornalistiche. L’editoria: ha fondato nel 2011 con una collega la casa editrice “Voltalacarta”. Il sociale: attualmente è impegnata in un progetto di inserimento degli extracomunitari nel territorio. Ha vissuto in una tendopoli a L’Aquila e per quasi un anno in una galera abbandonata e occupata da cassintegrati, sull’isola dell’Asinara; il 15 dicembre scorso è partita per un viaggio in Palestina. Il calcio femminile: è dirigente della Torres femminile ed è l’unica donna della Nazionale Italiana Scrittori Osvaldo Soriano F.C. Silvia è una, insomma, orgogliosa di viaggiare “in direzione ostinata e contraria”. Tra i suoi lavori anche un libricino sarcastico sul calcio femminile: “Una bomber – storie di donne che (s)calciano”.

Noi della redazione di Golditacco le abbiamo fatto qualche domanda sul mondo del calcio in rosa.

Da dove nasce un libro come “Una bomber” e qual è il messaggio che volevi emergesse da un racconto ambientato praticamente nello spogliatoio di una squadra femminile?

Ho giocato per qualche anno in una squadra di calcio a 5: ero un’ottima panchinara e questo mi ha permesso di avere un punto di osservazione privilegiato sulle dinamiche di gruppo. Ultimamente ho giocato in una squadra multirazziale e multisessuale e quel multirazziale e multisessuale ero io: unica donna, sarda di un metro e cinquantotto in una squadra di africani e sardi alti due metri che si offendevano se il mister faceva uscire loro per far entrare me, una donna! Con “Una bomber” volevo sottolineare, in modo ironico e pungente, che il calcio femminile esiste nonostante se ne parli poco o niente. Esiste e ha le sue peculiarità, nel bene e nel male. Le calciatrici prima di tutto sono donne, sono persone, e in quanto tali hanno pregi e difetti esattamente come le parrucchiere, le insegnanti, le ragioniere. Questa umanità spesso si perde di vista quando si tratta dei calciatori: questi sono considerati semidei, vengono osannati oppure denigrati, sono trattati come oggetti di culto o di insulto, raramente esce il loro lato umano e sempre più spesso esce quello economico. Le calciatrici per fortuna non sono ancora state s-travolte dagli eccessi di questa nazione in cui, come diceva Churchill, si perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre. Però vengono volutamente ignorate. Le donne giocano per passione, non per guadagno: se così fosse, cambierebbero sport o meglio, cambierebbero sesso, visto che quasi tutti gli sport femminili vengono ignorati e sottopagati. 

 Il calcio femminile non gode di tanta visibilità in Italia. Come mai? Quali sono nel 2014 i limiti e i paletti che ancora incontra?

L’ignoranza in primis. L’ignoranza di chi ignora che il calcio femminile sia non solo diffuso ma anche bello da vedere e praticare e l’ignoranza di chi pensa che il calcio sia uno sport ‘maschio’ e che le donne debbano dedicarsi ad altro, possibilmente al taglio e al cucito. Ovviamente ciò che ha poca visibilità non produce guadagno, quindi per le squadre di calcio femminile è difficile trovare abbastanza sponsor che permettano di finanziare le trasferte, pagare le atlete, promuovere gli eventi, mettere su un minimo di merchandising. Poi, i pregiudizi: molti genitori non permettono alle proprie figlie di frequentare le scuole calcio perché hanno paura che diventino lesbiche: un po’ come se non le mandassero al cinema a vedere Twilight temendo che diventino vampiri. 

 Com’è organizzata oggi la ASD Torres Calcio femminile? Quali sono gli obiettivi che vi siete date e quanto conta Patrizia Panico nella squadra, visto che hai deciso di farla comparire come un piccolo cameo anche tra le pagine del tuo libro?

Uno degli obiettivi che fa della Torres una grande squadra, da anni, è quello della continua evoluzione. Questa squadra ha una base di atlete storiche come Tona, Fuselli, Domenichetti, Iannella e altre, alle quali si aggiungono ad ogni stagione nuovi arrivi che danno ulteriore linfa alla formazione. Alla base di tutto c’è il gruppo, gestito magistralmente da Manuela Tesse che oltre a essere un’ottima condottiera ha un curriculum di tutto rispetto. Nella Torres le giocatrici sono tutte importanti a prescindere dal palmares, anche dalle più giovani ci si aspetta il massimo, e se la Torres è tra le squadre più forti d’Italia significa che l’obiettivo non è stato mai perso di vista. 

Patrizia è senza dubbio uno dei motori della squadra: sembra conoscere ogni millimetro d’erbetta di tutti i campi, ogni movimento delle avversarie, ha esperienza, intuito, un grande carisma e soprattutto umiltà. Qualcuno dice che è una sorta di Totti al femminile, che per una laziale non è il massimo del paragone: a me piace dire che Totti è una Panico al maschile, ma molto più ricco. 

 Sia nel libro che nella dedica compare il nome di Alex Del Piero! Cosa ha rappresentato per te l’ex calciatore juventino? C’è qualche giocatore attuale del campionato italiano che si è guadagnato altrettanta stima da parte tua?

Se salvo qualcosa del calcio maschile, è proprio quello che ha rappresentato e rappresenta Alex Del Piero: è un grande uomo, ancor prima di essere un grande calciatore. Ho un passato da sfegatata tifosa della Juve e di Alex in particolare: andavo a Torino e passavo anche otto ore al Comunale per vedere gli allenamenti. Povero ragazzo, l’ho trovato anche in vacanza in Sardegna, ero ovunque si trovasse anche lui. E’ sempre stato dolce, disponibile, umano. Poi è arrivata la stagione di Moggiopoli e il disgusto mi ha fatto vergognare e allontanare definitivamente dal calcio maschile. Seguo sempre, però, con grande stima e affetto, la vita e la carriera di Alex. Un anno fa, in Veneto, un’amica mi ha fatto una sorpresa portandomi davanti a casa Del Piero: mi sono sentita una devota in pellegrinaggio. 

È il calcio maschile che non gode più della mia stima: non lo seguo più, addirittura non conosco neanche più la formazione della Juve e conosco i nomi di alcuni calciatori della serie A solo tramite qualche voce di gossip. So per esempio che nella Samp gioca Gabbiadini, ma lo so giusto perché è il fratello di una delle calciatrici italiane più forti della serie A. 

 Un commento sui prossimi mondiali. Come vedi la squadra di Prandelli e che ti aspetti dalla Nazionale italiana?

Non seguirò i Mondiali, non li seguo più da parecchi anni. Seguirò il Mondiale femminile che si giocherà l’anno prossimo. Non è una questione prettamente sessista, sia chiaro: è che il calcio maschile non mi dice più nulla, è una guerra dentro e fuori dal campo, sulle tribune, sui giornali, nelle tv, una guerra di miliardi. A due passi da quei campi i bambini muoiono di fame nelle favelas e branchi di miliardari corrono dietro un pallone facendo dimenticare ai tifosi, italiani in primis, che le favelas non sono fantascienza. Però l’importante è che Balotelli abbia riconosciuto Pia, e che segni tanti gol per farci scendere in piazza con le bandiere e farci sentire onnipotenti. Lo so, è un discorso un po’ disfattista: ma ho l’impressione di vivere in una nazione in cui se la Rai non trasmettesse la partita della Nazionale la gente scenderebbe in piazza a protestare, ma per cose molto più gravi si protesta stando comodamente seduti nel salotto di casa. Palle et circenses. 

Emiliana Cristiano