Negli ultimi giorni non si parla altro che di quella che da molti è stata definita la partita del secolo: la Finale di Coppa Libertadores.
L’evento che, oltre ad essere per l’ultimo anno in doppia finale, vedrà una di fronte all’altra tra le due più grandi e tifate squadre dell’Argentina, nonché le più facoltose dell’intero continente.
Come una febbre che si è espansa a macchia d’olio, l’evento più significativo della storia calcistica contemporanea ha contagiato tutti, persino gli europei che da attendere hanno il ritorno del Campionato dopo la sosta nazionali e mentre questa sera, in Italia in campo scenderà l’Inter contro il Frosinone per dimenticare Bergamo e in Spagna la sfida tra Atletico Madrid e Barcellona potrebbe comunque catalizzare l’attenzione di un pubblico sostanzioso, quasi tutte le attese e le attenzioni sono rivolte oltreoceano e proprio in quel di Buenos Aires.
Ma che cos’è questa fantomatica, discussa e agognata Copa Libertadores? L’equivalente della Champions sudamericana, diremmo. E il Superclasico? Il derby tra Boca e River, le due squadre di Buenos Aires, e un po’ di tutta l’argentina. Fin qui tutto regolare. Se non fosse per quel “Super” che precede “Clasico” che la dice lunga sulla storia dell’incontro tra le due compagini che questa sera si scontreranno al Monumental.
Super, quasi a suggerire, già dal nome, che il derby di Buenos Aires non è un clasico normale come può esserlo Real Madrid-Barcellona. Super-clasico, qualcosa che va oltre, perché in riva al Rio de la Plataniente è convenzionale. Nella Parigi del Sud Americatutto assume un significato diverso:sapori, odori, rumori, tutto in una dimensione metafisica che si eleva ad un livello che va oltre: oltre persino la logica e addirittura la fisica, specie se e quando di calcio si parla.
Nato per mano degli inglesi è germogliato lì, tra un estuario e un immensa distesa di alberi: una Plata che avrebbe arricchito non l’Argentina, ma il mondo intero. E più che argento, quello germogliato in quelle terre tanto lontane da chi scrive, e probabilmente da chi legge, è vero e proprio el dorado colato, o forse più. Terra di provenienza di gran parte dei più grandi campioni di tutto il mondo da Maradona a Higuain, da Crespo e Tevez, passando per Messi, Zanetti, Aguero, Batistuta, Dybala, Icardi… Campioni di ieri e di domani ma anche e soprattutto di oggi.
E quanto accade oggi a Buenos Aires è
“Impensabile, difficilmente comprensibile per tutti quanti noi…”
“Nel momento in cui si prova ad essere razionali ci si accorge della portata di questo evento che non può essere racchiuso in un discorso esclusivamente calcistico, bensì in un discorso sociale e di quotidianità, oltre che in un discorso etico e mistico, aspetti che aleggiano e trovano maggior risalto da quella parti. Il motivo è molto semplice: il calcio ha scelto quella zona del mondo per esprimersi”.
“Il calcio, così come lo conosciamo, viene dagli inglesi e va a Rio della Plata e trova la massima espressione nella passione e nel talento, condizioni quasi religiose che lo avvolgono. I migliori giocatori della storia vengono quasi tutti da lì, e con la loro passione, il loro talento, la loro classe coinvolgono e contagiano ogni singola persona“.
“Se vai ad elevare due poli opposti che vivono nella stessa città, come River e Boca che si trovano in finale di Coppa Libertadores, ti rendi conto che non è e non può essere solo una partita di calcio”
“Una persona che ama il calcio e si fa trasportare dalle passioni più sfrenate che portano alle tante sfaccettature che ti da il calcio, rimane sottomesso davanti ad un evento del genere, non può che considerarlo un regalo, il massimo regalo possibile che il calcio possa fare.
“Potrei descriverlo come un dolce dramma o come una grazia che diventa quasi condanna, mi piace descrivere eventi così. Vai a rivelare tutti i sensi, le parti più profonde che si vanno a contrastare”.
“E’ veramente un dono del calcio”
“Un dono a loro in primis, per come hanno saputo elevarlo attraverso la passione, il loro talento, le loro storie e il loro quotidiano vissuto a 360 gradi immersi nel calcio; ma anche per chi, qui in Europa, non può che prendere atto del fatto che questo sia, a livello di Club, la partita più importante della storia del calcio, senza ombra di dubbio. Questo trasporto arriva talmente forte che contagia. Come etica e passione Boca-River non ha niente da spartire con nessuno. E’ un’altra cosa”.
A dirlo non sono io, che per quanto ami il futbol sudamericano, ho ancora tanto da apprendere ma soprattutto da scoprire e da vivere. A dirlo è Lele Adani, noto più per la sua arte dialettica tanto affinata da render invidiosa l’altra ingegnosa parte di lui altrettanto affinata che è l’abilità calcistica di cui gode. Con un passato da calciatore non così idilliaco, Daniele – ma fa strano, quindi meglio Lele – ha appeso gli scarpini al chiodo prima di intraprendere un percorso che, più che lavorativo, definiremmo spirituale.
Dedicarsi a quella che è la parte più infantile e genuina di se stesso è ciò che Adani fa da quando la consapevolezza del sentimento che provava ha assunto caratteri definiti di quello che sarebbe dovuto essere il suo posto nel mondo, e così è stato.
Trasformando un semplice lavoro (semplice si fa per dire) in quello che ogni giorno è per lui una missione e un compito. E magari più per se stesso che per altri, perché come lui stesso ammette, ‘è tanto affidato’ al dio del calcio da non sentirne la fatica, neanche quando in campo a disputare una partita storica c’è l’unica squadra, tra le migliaia da lui conosciute, che gli ha rubato il cuore mentre lui, tra i gradoni di San Siro, si veste non da professionista ma da se stesso, commentando un match che poco importa che si tratti di Milan e Juve; si sveste da quei pensieri e sentimenti che lo avrebbero voluto tra gli spalti della Bombonera e si immerge in toto in quello che di più bello possiede: il suo calcio, fatto di vibrazioni ed emozioni, di occhi lucidi e voce tremolante.
Come hai vissuto Milan-Juve dal microfono mentre dall’altra parte del Mondo si giocava Boca-River alla Bombonera? Quanto hai sofferto a rinunciare al primo atto di questo capitolo storico così indelebile?
“In realtà sono talmente affidato al calcio, che il fatto che l’abbiano spostata l’ho presa come un segno. Ho pensato che se è successo questo, se il buon Dio ha deciso che questo accadesse, un motivo deve esserci per forza, e deve essere accettato. Quindi ho fatto la ma partita molto sereno, molto concentrato sull’evento, poi chiaramente a fine primo tempo e a fine partita sono andato a vedere il risultato, ma ero abbastanza certo, proprio per la completezza, per il percorso di questa doppia finale, che sarebbe finito in equilibrio, che sarebbe stata una partita equilibrata.
“Perché? perché ci deve essere l’ultimo atto che deve partire dall’equilibrio. Nel mio modo di vedere le cose, sapevo che la partita sarebbe rimasta sull’equilibrio per un passaggio naturale delle cose, anche causate dal rinvio del giorno prima. Non ho avuto bisogno di staccarmi dal mio lavoro. Ero sereno. Sapevo che essendoci la doppia finale, l’ultimo anno tra l’altro in cui si disputerà una doppia finale e anche questo non è un caso, darà la possibilità ad entrambe, sia al Boca che al River di ospitarla entrambe. E sapevo l’ultimo atto sarebbe stato al Monumental, il mio stadio”.
Lele ammette senza filtri di essere uno dei tanti ‘Los Millonarios’, di far parte di quella metà meno due e più che un’ammissione è proprio una dichiarazione.
Non lo conosco molto, non come persona almeno, ma lui parla ed interromperlo è quasi un crimine e da quella conversazione telefonica, tra un silenzio e una timida domanda, forse pure fuori luogo, ne consegue una superba affermazione che preventivamente metto in conto possa essere smentita dal diretto interessato ma che mi sento in dovere di appuntare. Passionale e appassionato tifoso del River, circoscriverlo nella categoria tifosi sarebbe fin tanto riduttivo da considerarlo una mancanza di rispetto.
Sì perché Adani non è un semplice amante del River tanto quanto impossibile ritenerlo un semplice narratore. Non è lui ad aver scelto il calcio, ma probabilmente quest’ultimo ad aver scelto lui e proprio come chi si fa scegliere dalle vocazioni, la sua – ripeto – è una vera e propria missione. Vocazione spirituale che parte da fin troppo lontano, forse proprio da quel Rio della Plata, lì dove nasce tutto, o per dirla alla Adani maniera, lì dove si compie tutto. E se è vero che tutto finisce per come inizia, quella di oggi ha tutte le carte in regola per poter assumere i tratti reali di quello che è il concetto di apocalisse, laddove a chiudersi sarà un cerchio antico quanto il calcio stesso. E cos’altro può essere River-Boca se non una tragedia senza precedenti?
“Il tifo è secondario perché l’oblio per gli sconfitti sarà molto peggiore e più grave rispetto alla gloria dei vincitori. Per descriverlo bene, va spiegato in questo modo: sarà atroce l’oblio eterno da gestire di fianco ai vincitori e alla loro gioia che sarà quasi una liberazione. Di colpo, d’impatto, c’è l’esito che ti porta a godere come un pazzo, ma sarà quasi una liberazione che con gli anni ti farà dire ‘pensa se avessi perso’, cosa che invece accadrà ai vinti. E’ questo che deve emergere per capire di cosa si tratta in questa finale di Libertadores”.
Per dire di questo Super – Superclasico non basterebbero fiumi di parole, e probabilmente neppure testimonianze fisiche che la tecnologia ci rende semplice reperire. Per dire di River-Boca, non basterebbe una vita intera, perché forse, questa notte sarà lunga tanto quanto una vita intera. Così, con l’assoluta consapevolezza dell’impossibilità di raccontarlo, un po’ per mancanza di mezzi, un po’ per oggettiva e sincera ‘immaturità’, decido di affidarmi a quello che, ad oggi, ritengo uno dei pochi in grado ancora di riuscire a cogliere e poi trasmettere, alla stessa velocità di pensiero ed esecuzione con la quale Leo Messi encanta el Mundo, quello che è il calcio nella sua essenza più pura.
Un’essenza e una mistica rintracciabili che solo chi vive l’amore per il calcio come un catartico modo di intendere la vita può percepire ancor prima di raccontare.Cosicché da scomodare il “Maestro” di quelle emozioni che le vie delle città sudamericane quali Buenos Aires lasciano vivere. Il calcio è la mia Eva, disse un giorno Lele, eppure noi vorremmo contraddirlo perché il vero peccato sarebbe stato lasciare che Lele e il calcio non si incontrassero mai.
“In caso di sconfitta io saprò rispettare il Boca, perché è quasi assurda come cosa, ma alla vigilia, sia nei tifosi del River che in quelli del Boca, essendo forte la paura di perdere, automaticamente dovrà, o almeno così dovrebbe, nascere quel rispetto nei confronti dei perdenti perché non è un Superclasico normale, di campionato che ce ne sono due ogni anno, questo è irripetibile, non accadrà mai più”.
Per quello che sarà dopo ma anche per quello che rappresenta, questa partita ricorda un po il Maracanazo?
“Non paragonerei questa partita a quella del Maracanà per un motivo molto semplice, ovvero che il Basile perdendo è stato sconfitto tutto, e ha vissuto il dramma tutto. Questa invece sarà molto peggio, perché il dramma verrà vissuto di fianco ai vincenti. Perciò non ci sarà mai niente di così uguale. Quella del Brasile è stata una tragedia come tante già viste e che tante ne vedremo, del più grande che perde contro il più piccolo o, in quel caso, dell’Uruguay che diventa grande al momento giusto perché questo racconta la sua storia, ma sei costretto ad una tragedia del Paese, infatti ci furono una quarantina di suicidi dopo quella sconfitta del Brasile del ’50, ma non hai di fianco chi ogni giorno te lo fa pesare.
E’ questo di cui bisogna rendersi conto, che l’etica di questa partita non è una cosa che rimane astratta, c’è il quotidiano del per sempre che va vissuto. Si sono proposti, non a caso, un comitato di cardiologi per cercare di gestire l’umore delle persone di Buenos Aires cercando ad abbassare la tensione che si era già creata al solo sapere che si sarebbe giocata tra Boca e River la finale.
Mentre per Brasile e Uruguay hai ricevuto la classica pugnalata ma condivisa che prima o poi passa, questa no. Questa non passa e resterà in eterno, è una macchia per l’uno o per l’altra; inevitabile perché o va all’una o all’altra. Proprio per questo ti rendi conto di che è un gran bel regalo che il dio del calcio ci ha fatto, perché ci da la possibilità di vivere una cosa del genere da contemporanei, far parte della storia”.
Non vogliamo perderci in tecnicismi, malgrado sia duro resistere con Adani dall’altro lato della cornetta, ma questa non è una partita, è un evento (come Lele sottolinea) e non un semplice evento da tecnicismi e numeri. Non oggi, non per River-Boca. Perché il Superclasico più che di numeri è fatto di uomini diventati semi-dei, uomini che oggi, vivranno una consacrazione tutta loro, lì sull’altare più illustre. E allora come non parlare di quei due semidei che a modo loro, con storie e idee diverse parimenti alle rispettive società, hanno condotto la storia ad essergliene grata per sempre.
Da un lato Gallardo, dall’altro Schelotto
“Quello che ha fatto Gallardo con il Rive Plate è una cosa non replicabile, prende il River e vince tutto quello che si può vincere a livello internazionale. Quanto compiuto nella squadra, che si è rinnovata costantemente e continua ad arrivare fino in fondo in tutte le competizione più importanti del continente, lo ha sempre fatto rispecchiando quello che è da sempre la storia e la filosofia del River che è la bellezza, l’estetica, il gioco, la proposta, la cultura del River, che è differente da quella del Boca.
Il movimento che ha creato Gallardo è stato rispettando la tradizione, la storia, gli idoli che hanno caratterizzato il percorso da sempre del River Plate che è la scuola calcio migliore del sudamerica, quella che ha prodotto più talenti, più campioni, che istruisce i giovani a giocare. Lo ha replicato in questo suo quadriennio ed è stato clamoroso il numero, non solo di vittorie, ma anche di le finali, semifinali, è stato qualcosa di incredibile”.
“Schelotto è stato dei più grandi idoli calcistici del Club e diciamo che ha cercato delle strade diverse, il Boca è la squadra, come qualità, forse migliore del Sudamerica, soprattutto per la qualità offensiva e ci è arrivata attraverso colpi, giocate, giocatori piuttosto che tramite una filosofia. Diciamo che per lui è stato più difficile imporsi, nonostante sia un allenatore che già aveva fatto molto bene. Non dimentichiamoci che aveva vinto una Coppa Sudamericana con il Lanus, quindi comunque aveva già lasciato intravedere qualcosa ma al Boca ha avuto un po’ più di difficoltà mentre Gallardo ha messo un marchio eterno. Parliamo di uno dei cicli più importanti della storia, se non il primo, il secondo dopo quello di Ramon Diaz degli anni novanta, parliamo qualcosa di eccezionale.
Esserci alla finale di Copa Libertadores, questa finale di Copa Libertadores, nel tuo Monumental…Cosa significa per Lele Adani esserci?
“E’ un regalo che mi è stato fatto, che mi prendo, che cerco di vivere andando ad elevare quello che è un po’ la mia l’essenza e la mia natura: vivendolo con lo stupore e la meraviglia di un bambino quando si trovano davanti ai giochi e le prime scoperte con, ahimè, una parte di consapevolezza di cosa potrei vivere. Io sarò meravigliato sapendo già cosa vivrò.
Questo ti fa capire quanto verrà rivelato l’amore alla massima esponenza. Andare lì per due soli giorni, andare e tornare, lo renderà quasi più vicino ad un sogno che alla realtà; non so totalmente cosa mi aspetterà e questo mi fa vivere questi giorni di attesa in un mix di sentimenti contrastanti però tutti meravigliosi. Dal punto di vista razionale, spero che finisca presto perché quando parlo di dolce condanna non lo dico a caso. Ci sono davvero una serie di sentimenti contrapposti, sarà difficile per me e per tutta la gente di Buenos Aires.
Questa partita è l’essenza del calcio. Sarà di quelle partite da dover far vedere a tutti i costi ai bambini?
“Se questa partita, non collocabile in una partita ma in un evento, apre la mente a tanti appassionati al concetto che c’è ancora in Sud America di calcio, allora sì. Perché è in questo evento che, sarà sicuramente come all’andata pieno di colori entusiasmo, gioia dramma, tutti rivelatisi ricchi di sport, che saranno messe continuamente alla prova le caratteristiche umane oltre che professionali dei ragazzi delle due squadre. E allora sì, in quel caso sì.
In sudamerica si da ancora importanza al potrero, se torniamo al fanciullo che c’è dentro di noi, e i bambini riescono a trovare una passione, una voglia di scoprirsi attraverso quello che da noi è la strada, insieme al compagno, all’amico, tutte cose che in sudamerica ci sono, allora sì questa partita può spingere verso un mondo che è ancora lì, ora come allora.
Ma credo che il calcio vissuto nei vicoli, negli oratori ha ancora questo potere, basterebbe farci attrarre dal suo bello che non è il semplice pallone che rotola ma quello che trasmette quel pallone che rotola: sensazioni, sentimenti, cercare amicizie, vincere le paure, trovare la creatività, ingegnarsi per una strategia. Questo è il senso del calcio, e in quelle zone del mondo è rivelato più che in altre parti. Non è un caso che quest’evento si svolga lì, dove il calcio ha scelto di compiersi”.
Hai un po’ paura possa succedere qualcosa di spaventosamente catastrofico tra le due tifoserie storicamente rivali e “calde”?
“Io mi auguro vivamente non accada ma, le città sono militarizzate, Buenos Aires si è ben attrezzata e sarà pure difficile che accada. A prescindere da questo io credo sempre che questo genere di eventi, questo nella fattispecie, vadano visti come una sfida epica tra due culture che vivono nella stessa città, due modi di pensare diversi ma con un amore sviscerale per il pallone che entra costantemente dentro le case della gente.
Penso che il pallone serva ad unire, e se questo accade ben venga ma lascerei tutto nel contesto magico che è il calcio, altrimenti poi viene spostato e strumentalizzato per altro. E quando accade non va bene, il calcio mette dentro tutti, c’è solo da goderselo”.
E allora non resta che sederci, attendere le 21.00 perché qui da godersi c’è la storia di oggi e di domani.
Egle Patanè
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