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ESCLUSIVA – Marta Elena Casanova: “Con Tifose, le donne del calcio voglio dare voce a chi ha lasciato il segno in un settore considerato maschile”

In esclusiva sulle nostre pagine la giornalista Marta E. Casanova racconta come nasce il suo saggio Tifose, le donne del calcio.

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Marta Elena Casanova e il suo Tifose, le donne del calcio: un saggio necessario

Il tifo femminile – così come il calcio – è da qualche anno una realtà in costante crescita. Aumentano le bimbe che vogliono giocare a pallone, così come sono sempre più numerose le  donne appassionate sugli spalti. Tuttavia continua ad aleggiare un certo maschilismo nemmeno tenuto tanto nascosto.

Pallone = uomini è uno stereotipo radicato fin dalla notte dei tempi. Un paradigma che Marta Elena Casanova ha deciso di smontare pezzo dopo pezzo nel suo saggio Tifose, le donne del calcio.

Genovese e tifosa della Sampdoria fin da bambina, milanese di adozione, giornalista e ora anche scrittrice, Marta Elena Casanova dà voce a tutte quelle donne che ce l’hanno fatta in un mondo di esclusivo dominio maschile.

tifose le donne del calcio

Tifose, le donne del calcio, un saggio che definiamo – considerato il periodo storico- necessario. Come nasce la stesura del tuo libro?

Tifose nasce dalla mia passione per questo sport. Non ho mai giocato a calcio, ma sin da bambina mi sono appassionata come tifosa. Sono andata a vedere la Sampdoria per la prima volta allo stadio durante la stagione in cui vinse lo scudetto, 1990/1991. Mi sono innamorata del gioco, dello stadio, dell’atmosfera. A un certo punto mi è venuta voglia di capire chi e quante fossero le donne amanti del pallone. Nessuno, in Italia, aveva trattato l’argomento. Come nessuno aveva mai parlato delle ragazze che lavorano attivamente nell’ambiente come calciatrici, allenatrici, dirigenti, arbitri ecc. Mi è sembrato doveroso farlo, provare a dare una voce a tutte noi in un settore ancora appannaggio maschile. Ho trovato storie splendide e anche terribili, ma il risultato è che mi sono appassionata ancora di più all’argomento.

Storie di donne, storie di tifose. Quali sono le donne che hanno influenzato il tuo cammino di giornalista e di donna?

Devo dire che modelli ce ne sono tanti, ma non ne ho uno in particolare. Sono una curiosa, mi appassiono a tante storie di donne e di giornaliste, ma nel bene e nel male mi sono sempre fatta le mie idee. Più che influenzare penso che le storie di donne che hanno lasciato il segno debbano dare ispirazione. Magari non arrivi dove vorresti, ma certamente impari a non mollare.

 In Tifose racconti la storia di donne che ce l’hanno fatta… c’è una storia in particolare che ti ha colpito più delle altre?

Devo dire che le storie che più mi hanno colpite sono quelle delle “antesignane”: donne che in tempi non sospetti hanno fatto enormi passi per il genere femminile nel calcio e nella società. Due esempi: Edelmira Calvetò nel 1913 riuscì ad entrare nel Club del Barcellona convincendo Gamper grazie a un cavillo burocratico, aprendo di fatto la strada ad altre donne che come lei si erano interessate al calcio e ai blaugrana tanto da volerne far parte in maniera attiva. Prima di lei Nettie Honeyball, in Inghilterra, è stata la ragazza riuscita nell’impresa di realizzare una squadra di calcio femminile. Certo, poi ci sono state battute d’arresto per le donne nel calcio, ma si battono in questo ambiente in pratica da quando il calcio è nato.

Marta Elena Casanova racconta come nasce il suo saggio

Storie di donne che con grinta e determinazione hanno raggiunto il loro obiettivo. Ci sono però anche storie come quella di Sahar Khodayari morta per amore del calcio. Perché ancora non si riesce ad accettare la donna tifosa?

Il problema è molto più profondo, in alcuni paesi non solo non si accetta la donna tifosa, non si accetta proprio che la donna abbia dei diritti, in nessun caso, su niente. Il calcio rappresenta lo sport più famoso al mondo, e spesso si “esce dal campo”: le questioni sociali e politiche sono all’ordine del giorno. Che una donna arrivi a un gesto estremo come togliersi la vita perché non è libera di entrare in uno stadio è spaventoso. Di pochi giorni fa è la notizia che la nazionale tedesca non giocherà in paesi che discriminano le donne. Mi sembra un messaggio importante, le cose devono cambiare.

Parliamo di Calcio Femminile, anche l’Australia ha aderito all’Equal pay. In Italia invece si deve lavorare ancora sulla legge per il professionismo. Perché secondo te siamo sempre in ritardo rispetto ad altri paesi quando si parla di parità?

Rispetto a quanto detto precedentemente non siamo sempre gli ultimi, come si dice, purtroppo c’è sempre chi sta peggio. Il problema dell’Italia, come in altri paesi, è che deve cambiare un sistema che è nato da maschi per maschi, è un fatto culturale inevitabilmente difficile da cambiare. Arrivare alla parità dei salari è uno step ancora lontano che arriverà se , appunto, arriverà il professionismo. Di fatto le calciatrici sono considerate dilettanti, questo ovviamente crea molti problemi non solo in termini di contratto ma anche di tutele. Ma credo si sia arrivati a un punto, nel calcio femminile in generale, dal quale non si può tornare indietro. L’interesse cresce, la situazione dovrà cambiare. Speriamo presto.

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 Le nostre Azzurre hanno inanellato una serie di splendidi successi, i quarti di finale ai Mondiali, Euro 2021. E’ arrivato il momento di puntare ancora più in alto?

Certamente. Non bisogna mai fermarsi. Ora che il calcio femminile sta facendo passi avanti e che con gli scorsi Mondiali l’Italia si è guadagnata tifosi e interesse da parte di molti, a partire dai media che ritengo fondamentali per far conoscere questo sport al femminile, bisogna impegnarsi ancora di più. Ma non ho alcun dubbio che le ragazze di Milena Bertolini metteranno tutto il loro impegno per arrivare in alto.

Se da una parte le big della Serie A come Juve, Milan e Inter si sono aperte al Femminile, creando delle vere certezze, dall’altra quest’anno c’è stato l’addio di società storiche come il Chievo Valpo e l’Atalanta Mozzanica. Come giudichi tutto questo?

Questa è l’altra faccia della medaglia. Mantenere una squadra non è mai facile, se poi i costi salgono e le altre società diventano sempre più competitive il rischio è quello di non riuscire a tenere il passo. Per sopravvivere bisogna avere un club che possa garantire un certo percorso a tutto lo staff. Dispiace che realtà storiche e impegnate in un settore snobbato per tanto tempo si trovino poi in situazioni che non possono affrontare.

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Qual è la bellezza del calcio femminile che gli uomini non capiranno mai?

Forse il fatto che non si debbano creare necessariamente drammi durante una partita, in campo e fuori!

Torniamo a Tifose, le donne del calcio… cosa possiamo dare noi a questo Sport?

La bellezza di uno sport che si possa ancora definire “gioco” nel senso stretto del termine. Poi è anche vero che noi donne siamo agguerrite quando qualcosa ci sta a cuore, ma gestiamo le cose con più obiettività. Non è una cosa da sottovalutare. Sai cosa sarebbe davvero bello però? Che potessimo dare esattamente quello che danno gli uomini, mi piacerebbe non ci fossero distinzioni su chi può dare cosa. L’importante sarebbe dare il meglio. Ma forse è un’utopia.

Qual è il messaggio che vuoi il lettore custodisca dopo la lettura del tuo saggio?

Mi piacerebbe che rimanesse la percezione di una grande passione, a 360°, da parte di molte donne per uno sport splendido come il calcio, per quello che si può realizzare, senza discriminazioni.

 

 

Giusy Genovese

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