Lo sport che fa bene. Lo sport come rinascita e passione. Come riscatto. Ancora a cui aggrapparsi quando la vita ti sconvolge e ti fa perdere tutte quelle coordinate che ti tenevano a galla. Si sarà sentita così Giusy Versace quando nel 2005 in seguito a un gravissimo incidente stradale perse le gambe. Chissà quanti di noi avranno pensato “meglio morire piuttosto che vivere così” e chissà che non lo abbia pensato anche Giusy. Ma poi ci guardiamo intorno, respiriamo, e capiamo che la vita può offrirci sempre una seconda possibilità e pensiamo, che sì, la vita è bella comunque.
È questo l’insegnamento che Giusy Versace vuole dare attraverso un ballo, una corsa, o anche solo attraverso quel sorriso con cui ci accompagna nel corso de La Domenica Sportiva. Un sorriso che ha trovato le sue ragioni nello sport.
Da retail supervisor a volto femminile de La domenica Sportiva, in mezzo quella data indimenticabile… 22 agosto 2005. Chi era ieri Giusy Versace, chi è oggi?
Era una ragazza determinata e coraggiosa e lo è tuttora, la differenza l’ha fatta quella data, il 22 agosto 2005, che mi ha messo davanti a una scelta e ha imposto un cambiamento alla mia lista di priorità.
L’atletica, ovvero la rinascita. Quanto lo sport “sano” può davvero tenerci in vita?
Lo sport può dare tanto a tutti, forse per chi vive una disabilità vale qualcosa in più. Per molti vuol dire riscatto, per altri rinascita, per altri ancora si tratta di pura passione… Ognuno ha una motivazione diversa. Per me è stata semplicemente una sfida, con me stessa e contro chi sosteneva che non ero in grado di correre. Volevo solo provare di nuovo l’emozione di una corsa e dimostrare ai più scettici di farcela… Non avevo considerato il rischio di innamorarmene. Sì, perchè ho imparato ad amare la corsa quando ho perso le gambe. Ho iniziato per gioco e non mi sono più fermata.
Disabilità e Sport: hai viaggiato molto, hai trovato delle differenze fra l’Italia e altri paesi del mondo non solo a livello di strutture, ma anche per come viene accolto il disabile nella società?
Ahimè, le differenze sono tante e senza andare troppo lontano già in Europa. Parlo di Francia, Spagna o Germania. Innanzitutto troviamo meno barriere architettoniche, a livello culturale ad esempio sono molto più avanti. Lo sport viene introdotto in molte strutture ospedaliere come terapia. Ad esempio a chi capita un incidente simile al mio, arriva qualcuno in ospedale con una palla da basket e ti spiega che esiste una cosa che si chiama “basket in carrozzina”. Io ho scoperto per caso l’esistenza dello sport paralompico. In Italia è dovuto arrivare un sudafricano per accendere i riflettori su questo mondo, eppure, già prima di lui, ci sono stati tanti italiani paralimpici che hanno portato a casa medaglie importanti e pochissimi lo sanno. I media fino a poco tempo fa non ne parlavano nemmeno.
Come la nostra società, iniziando da chi occupa i gradini più alti, dovrebbe e potrebbe muoversi per avvicinare le persone disabili allo sport, in particolare i bambini?
Beh innanzitutto finanziando i progetti e mettendo le famiglie nelle condizioni economiche di poterlo fare. O più semplicemente aggiornando il nomenclatore tariffario che viene applicato dalle Asl e che non è aggiornato dal ’99. Ci sono alcuni sport che per essere praticati obbligano l’atleta ad avere ausili di un certo tipo e senza i quali non si può competere né allenarsi. Faccio un esempio: per correre a un amputato serve una protesi particolare con un piede speciale in carbonio che a oggi lo stato non copre. Tipo il mio ad esempio. In Italia se non sei invalido sul lavoro (quindi tutelato dall’Inail) devi mettere le mani in tasca e se non hai le possibilità economiche sei tagliato fuori. Parliamo dell’ a b c … ma nella “sala dei comandi” fanno fatica a comprendere quanto sia importante per i disabili fare sport… non è solo un’ottima riabilitazione fisica e mentale ma anche un’occasione di riscatto e di confronto con se stessi e col mondo.
Anche per questo motivo nel 2011 ho fondato la Disabili no limits onlus” (www.disabilinolimits.org) organizziamo eventi in giro per l’Italia per far uscire i ragazzi di casa, promuovere gli sport paralimpici e raccogliere fondi per regalare un’opportunità a chi non se la può permettere. E’ assurdo che oggi lo sport sia un lusso e non un diritto.
L’occhio dell’altro: hai superato barriere e pregiudizi, hai sorvolato sulle critiche specie dopo la tua vittoria a Ballando con le stelle. Un messaggio, un consiglio ai più giovani, a chi non è in grado di superare i propri limiti fisici soprattutto per via di questo “occhio” scrutatore…
Io ho un nome pesante che ha sempre fatto chiacchierare. Prima dell’incidente io lavoravo nel campo della moda ma non per la Gianni Versace Spa… per aziende concorrenti. Credete sia stato tutto facile??? Niente tappeti rossi e numerose porte in faccia. Sono andata via di casa a 18 anni e a 20 vivevo già a Milano da sola. Ho dovuto lavorare sodo per dimostrare che valevo e che non ero una raccomandata. Questo mi è servito per farmi due spalle forti… oggi quasi non ci bado più alle critiche… semplicemente le metto in conto. Ho imparato una cosa importante però… vale sempre il detto “non ti curar di loro ma guarda avanti e passa” il tempo e la pazienza ripagano per tutti i sacrifici.
I pregiudizi e le critiche non sono mancati nemmeno non appena hanno comunicato il tuo nome come conduttrice de La domenica sportiva. Un esordio il tuo in punta di piedi, umile ma professionale. Come hai accolto la proposta? Avevi delle remore?
Non intendevo assolutamente accettare. Ci sono voluti più di 2 mesi prima del mio “sì”. Non ho scelto di fare televisione per il gusto personale di apparire. Non mi serve questo. Io vivo benissimo di tante altre cose. Ho sempre selezionato progetti e proposte che potevano avere un senso con quello che faccio e rappresento nella vita. Non nascondo che la proposta di Paris per la Domenica Sportiva mi ha spiazzato. Quando mi chiamò la prima volta quasi gli chiusi il telefono in faccia pensando si trattasse di uno scherzo. Mi dissi: “Io??? ma non sono una giornalista e non capisco niente di calcio!!!”. Lui mi rispose: “Sei una sportiva, con una storia bella e un sorriso coinvolgente. Noi vogliamo solo questo da te, il tuo punto di vista da atleta”. Non a caso, ancora oggi, pur essendo entrata perfettamente nei meccanismi, mi guardo bene dal commentare una moviola …anche per questo c’è Antinelli! Mi sono convinta sopratutto pensando che questo è l’anno olimpico, la mia presenza in una trasmissione cosi importante avrebbe permesso di tenere qualche finestra aperta anche su sport cosi detti ‘’minori’’ compresi quelli paralimpici. Devo dire che fortunatamente quando è stato possibile lo abbiamo fatto. Abbiamo aperto più volte le puntate parlando di tennis, F1, sci e altre volte abbiamo avuto in studio atleti paralimpici. Campioni di cui non si sente spesso parlare. In ottobre sono mancata dalla trasmissione un mese per i Mondiali di atletica in Qatar dove io ho corso. E’ stata l‘occasione per mandare in onda delle immagini, di parlarne. Per me è un onore aver contribuito a tutto questo anche se in piccola parte. E poi diciamocelo, ho il privilegio di potermi confrontare spesso con vere icone dello sport e del calcio, vedi Trapattoni, Pizzul, Zeman. Imparo più chiacchierando con loro davanti a un caffè che leggendo il giornale tutti i giorni. Guardando qualche partita con loro ho imparato tante cose ma soprattutto mi hanno fatto appassionare al calcio. Chi l’avrebbe mai detto ?!
Una donna che vuole avvicinarsi allo sport trova ancora maggiori difficoltà rispetto a un uomo, per una donna disabile dunque la fatica è doppia?
Non si tratta di uomini o donne, qui si tratta delle possibilità e dei supporti oggettivi che servono e che mancano a chi vive con un handicap.
Il calcio è ormai diventato crocevia di cori, violenze, lo stadio luogo dove dar sfogo alle proprie repressioni. “Gol di tacco a spillo” vuole essere una voce fuori dal coro, trattando la materia con ironia e leggerezza, focalizzando l’attenzione su fairplay ed etica. Saranno davvero le quote rosa a riportare il calcio sulla retta via?
Chi può dirlo? Me lo auguro! Ci vuole solo più educazione e rispetto a prescindere dal sesso. Lo sport è sport. Non può essere altro. Deve divertire, coinvolgere, emozionare. Non scatenare ire. Io ricordo che da piccola mio papà ci portava alo stadio per vedere la Reggina, la squadra della mia città di origine (Reggio Calabria).Io non amavo il calcio, ma era per me un’occasione per stare insieme, per mio fratello la gioia di condividere con papà una passione. Ed era sempre una festa anche se la squadra perdeva. In curva c’erano colori, cori, trombette… aria di gioia! Mi piacerebbe che gli stadi e non solo tornassero a riempirsi di queste cose semplici che rendono migliore la vita.
Hai una squadra del cuore?
Ovviamente sì ma non lo posso certo dire adesso, devo essere imparziale! Mettiamola così… tifo per la Nazionale!
Atleta, conduttrice, presidente di Disabili No Limits. Ovvero un esempio di come i limiti sono solo mentali e non fisici… ci chiediamo da dove prendi la forza per far tutto!
Se devo essere sincera me lo chiedo pure io. Mio fratello mi ricorda spesso che ho solo le gambe in carbonio ma per il resto sono umana come gli altri e devo concedermi delle pause. Ma io sono un’adrenalinica. Amo spudoratamente la vita e ho voglia di berla come un assetato nel deserto. Forse perché ho rischiato di perderla in un secondo, chi lo sa? Trovo sempre il modo di riempirmi le giornate. Odio stare ferma, altrimenti mi annoio…
Ci racconti un po’ del tuo progetto con l’Unitalsi?
L’Unitalsi è una grande e bella famiglia, sono fiera di farne parte come sorella e volontaria. A Lourdes, insieme a loro, durante un viaggio fatto nel 2006 ho capito quanto è bello mettere a disposizione degli altri ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro tempo! Questo mi fa sentire una persona migliore. Aiutare gli altri mi dà la carica che mi aiuta soprattuttto a dare un senso al fatto di aver perso le gambe. La fede mi ha aiutato a non vergognarmi, a reagire. Con loro prego, mi diverto, lavoro. Io dirò grazie all’UNITALSI per tutta la vita. Mi hanno fatto sentire utile anche quando io mi sentivo utile. Non potevo avere regalo più grande.
Credi che Roma 2024 rappresenti davvero la rinascita per tutto il nostro paese?
Ci spero! Può essere certamente una grande opportunità non solo per Roma, ma per tutti noi.
Un’ultima domanda, perché secondo te nel 2016 ancora deve fare rumore la notizia che un disabile o un portatore di handicap partecipi a un reality, un talent o semplicemente conduce la stessa vita di una persona normodotata?
Il nostro paese non è ancora pronto. C’è troppa ignoranza in giro. La gente non sa, non si documenta. Si ferma ai pregiudizi. Ma io sono fiduciosa. Le cose stanno cambiando.
Ti racconto una cosa: a Vigevano dove mi alleno e dove vive il mio allenatore Andrea Giannini, incontro spesso tanti ragazzini. Capita che li becco a osservarmi mentre mi cambio le gambe e mi preparo per l’allenamento. Non mi guardano come la “poverina”, mi sorridono, si tirano le gomitate tra loro e poi li sento che dicono ” guardala, lei è un’atleta come noi!, poi trovano il coraggio di avvicinarsi a me e mi fanno le domande più banali tipo “come funzionano queste gambe? Fanno male? Ma per ballare ne usi un paio in particolare?” I bambini non hanno filtri, sono spontanei. Il problema è degli adulti che vedono in noi dei limiti. I bimbi invece vedono le tante cose che siamo in grado di fare nonostante l’handicap. Ecco cosa fa la differenza. Il tipo di lenti che utilizzi per guardare la vita. Io spero in un futuro senza lenti scure. Spero in un futuro in cui anche gli adulti imparino a guardare con più luce la vita e, come lo definisco io, anche il popolo degli invalidi, con gli stessi occhi dei bimbi… senza filtri!
Giusy Genovese
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