ESCLUSIVA – Damiano Tommasi tra presente, passato e futuro: a tu per tu con un grande calciatore e un uomo d’altri tempi

Damiano Tommasi ripercorre con noi il suo passato, ci parla del suo presente e guarda al futuro, sempre ancorato alle sue radici e ai suoi valori

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Nel mondo del calcio solo se riesci a diventare un “top player” corri il rischio di essere ricordato per tutta la vita…

DAMIANO TOMMASI

Ecco, facendo il suo nome, chiunque riesce a ricordare con un sorriso il suo carattere mite e cordiale, il suo stile di vita irreprensibile e senza macchia, e il suo fair play dentro e fuori dal campo.

“Un uomo d’altri tempi” verrebbe da dire, che ancora oggi, nonostante la sua nomina come Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, resta se stesso ancorato ai valori di una volta e a quella concretezza che avrebbe fatto vacillare molti colleghi.

La sua è una storia vera, una di quelle storie che spesso vengono enfatizzate, gonfiate da quelle “esigenze di copione” che permettono di aumentare la leggenda dell’uno o dell’altro fenomeno. Niente di tutto ciò ma una storia semplice, partita da quella provincia laboriosa e severa che si dice sia il nord e che in parte è così ancora oggi: famiglie, gruppi, intere cittadine che fanno del lavoro il fulcro della vita di chi le abita; dignità e perseveranza, poche distrazioni e sogni che spesso rimangono tali perché considerati troppo astratti e pretenziosi.
Poi c’è il coraggio, quella scintilla che ti permettere di essere sfrontato quanto basta, pur mantenendo sempre quella compostezza e quel rigore che non ti gettano in pasto alle chiacchiere.
Famiglia, amici, una comunità che con molto riserbo e tanta delicatezza hanno fatto scudo, incoraggiando e proteggendo quello che poi è diventato uno dei primi calciatori italiani che il nostro Paese ha cresciuto tra la fine degli anni ’90 ed i primi anni duemila.

Muove i primi passi nel mondo del calcio, nella squadra del suo paese natio, Sant’Anna d’Alfaedo, nel veronese. Il talento c’è ed il passo verso il Verona è breve: prima le giovanili, poi la prima squadra al fianco dei giovani Pessotto ed Inzaghi, la promozione in A e la cessione alla Roma.

Una carriera in discesa, sempre avallata dalla famiglia che con molto entusiasmo ha sempre accolto le sue scelte e da quegli amici, veri e leali che lo hanno sempre supportato ed incoraggiato: questo gruppo compatto costituisce tutt’ora una delle certezze nella vita di Tommasi; ragazzi, uomini, con i quali si condivide tutto, con i quali ci si è confrontati, con i quali si sono sofferti distacchi ed incertezze, ma che ancora oggi lo accompagnano su quel prato verde in quella squadra, il Sant’Anna con la quale ha esordito.

Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori ma il richiamo alle origini è sempre forte.  Legami indissolubili dai quali è impossibile separarsi e la scelta quindi di tornare ad abitare sulle sue montagne, la fama, il denaro, la popolarità: nulla regge il confronto con quei paesaggi, quei profumi e quel calore.

A Roma, nella Roma resta 10 anni, gioie, fortune, dolori ed infortuni, gli ultimi importanti e impegnativi . La sua indole onesta lo spinge a chiedere una rinegoziazione dello stipendio decurtandolo al minimo sindacale – 1.500Euro – ma nel 2006 darà l’addio alla squadra della Capitale ed ai suoi compagni.

Continuerà a giocare, prima nel Levante, poi nel QPR, nel TianjinTeda, per poi tornare come detto nel Sant’Anna d’Alfaedo e ne La Fiorita.
Ad oggi oltre ad essere al timone dell’AIC, con la nomina di Gabriele Gravina a presidente della FIGC, è anche consigliere federale della stessa.

Immagine :Famiglia Cristiana

“Gol di Tacco a Spillo” ha avuto l’onore di chiacchierare con lui: gentile, disponibile e simpatico come sempre.

17: il numero della tua maglia e il giorno del tuo compleanno. Sembra essere, a dispetto dela tradizione, il tuo numero fortunato, lo è davvero?

In realtà non è legato a nulla in particolare ma come numero mi è molto simpatico e poi l’ho scelto perché in realtà non lo voleva nessuno.

Centrale, mezzala e ala: potevi ricoprire tutte le posizioni di centrocampo, ma anche quella difensore centrale. La tua carriera prende il via nel 1985, ma esordisci nel calcio professionistico nel 1994 con il Verona, una famiglia tradizionalista, legata alle origini ed alla stabilità la tua.
Come hai vissuto questo importante passaggio ad una vita più affascinante e caotica, rispetto ad una meno sorprendente ma sicuramente più costante?

In maniera diversa dai colleghi, ho fatto delle scelte importanti, sono uscito di casa praticamente il giorno del mio matrimonio, quindi le distrazioni erano sicuramente lontane dalla mia portata. Sono rimasto con i piedi per terra, il giorno che “sono diventato professionista” ero in casa, ed a Roma sono arrivato che ero già sposato.

La tua avventura al Verona è durata poco. Dal Veneto, la Roma ti offre un’opportunità irrinunciabile: altri cambiamenti ed altre incognite, fondamentale il supporto di Chiara, tua moglie, dieci anni di soddisfazioni tra cui lo scudetto 2000/2001, vinto con Capello al timone, che ti definì “un atipico, un interno che si muoveva in una zona del campo indefinita”. 
Di quegli anni, qual è stato il ricordo più bello e cosa invece ti è mancato?

L’esperienza a Verona è durata 6 anni, non pochissimi in realtà.
A Roma devo dire che benché sia una città stupenda, mi è mancata la mia Terra, le mie abitudini, la mia famiglia d’origine tant’è che ad oggi continuo a giocare nella squadra del mio paese, ma queste scelte, queste difficoltà ci hanno aiutato a crescere come persone.
Però ovviamente Roma è Roma, ho conosciuto una città spettacolare in tutto, cosa che è stata possibile grazie ai 10 anni di militanza.

Foto Massimo Oliva Insidefoto

Il richiamo alle origini è stato forte e dopo l’esperienza alla Roma e altre non solo fuori dall’Italia, ma addirittura in Cina, sei tornato a casa.
Il Mondo non si scorda di te, del tuo modo di essere, della tua eleganza e della tua correttezza in campo e non.
Diventi il numero uno dell’Associazione Italiana Calciatori, sapendo bene, a mio parere, a cosa stessi andando incontro.
Due modi diversi di vivere la vita ed interpretarla: quella privata, lontana dai riflettori, riservata e solida e quella da Presidente di un’Associazione che negli ultimi anni ha avuto un ruolo importante per la tutela dei calciatori, un ruolo anche scomodo. Come riesci a gestire così bene entrambi i ruoli?

Cercando di rimanere fedele al mio modo di essere. Rimango concentrato sulle mie convinzioni promuovendo i messaggi positivi da dare e puntando sul settore giovanile, cercando di dare più voce anche ai giocatori che in genere ne hanno poca.
Purtroppo le società non guardano al benessere dei giocatori ma solo al valore economico; le garanzie sono sempre di meno e la necessità di creare un sostegno concreto che possa tutelare i loro diritti si fa sempre più concreta. La loro tutela è ad oggi un diritto di cui devono essere certi.

“Troppe volte si passa sopra a determinate esigenze usando i giocatori più come prodotti che come esseri umani. L’Associazione Italiana Calciatori
promuove le loro aspettative e i loro interessi.”

Da qualche anno si parla della riforma del calcio italiano, un passo importante visto il decorso, non proprio positivo, a cui è andato incontro quasi di pari passo con la situazione politica ed economica, tanto che anche in Europa, dove l’Italia ha sempre avuto un ruolo d’eccellenza, ora si fatica ad emergere.
Quali sono stati i fattori che hanno portato a questo risultato? E come si potrebbe tornare grandi anche in Europa?

Questo è un tema a mio avviso molto culturale. In Italia il sistema organizzativo ed amministrativo ha subito radicali cambiamenti. Bisognerebbe prima puntare sull’individualità dei singoli per poi guardare al gruppo, in tutti gli ambiti.
A livello istituzionale bisogna formare, far crescere una mentalità che sia di larghe vedute, così anche in ambito sportivo, ma a 360°; non sentire l’obbligo di trasferire gli ideali culturali di un movimento sportivo è sbagliato, perché è un passaggio vitale di gestione collettiva.
Guardati intorno, all’estero tutti gli ambiti vanno di pari passo: se funziona la politica e l’economia, funziona il calcio, ma anche gli altri sport; valorizzare un’eccellenza si tira dietro anche tutto il resto, quando il nome di una Nazione gira per un dato merito, ne guadagna tutto il sistema di quel Paese.

Tra le riforme proposte dalla Figc, una delle posizioni più interessanti è quella che vorrebbe obbligare le società a porre come condizione la limitazione del numero di stranieri in campo, con la conseguente riscoperta dei giovani talenti italiani, ai quali sarebbe riservato un posto di primo piano, oltre che l’obbligatorietà per le società, di schierarne un certo numero ogni partita.
Limiti ed obblighi che i presidenti sembrerebbe non abbiano accolto di buon grado.
Davvero si preferisce andare a prendere un -passami il termine- “prodotto finito”, piuttosto che coltivare in casa giovani talentuosi come accaduto con te e i vari Baresi, Maldini, Del Piero, Totti …?

Guarda, in realtà le limitazioni rischiano di togliere meritocrazia. A livello europeo le normative non sono limitanti, per farti un esempio in Germania non le hanno.
Il vero business è il trading e vendere e comprare giocatori crea soldi.
Non formare calciatori bravi ma prenderli da fuori, formarli e rivenderli.
L’obbligatorietà non premia però la meritocrazia e se sei bravo non conta da che Paese provieni, né tantomeno insistere a casa propria se non esistono talenti.
Nel mondo dilettantistico c’è un abbassamento della qualità c’è poco da fare e anche qui si tende a prendere giocatori dalle categorie maggiori per poter emergere e creare appeal.
Per formare un giocatore ci vogliono troppi soldi e dieci anni come tempistiche, comprare un giocatore che dopo cinque, dieci partite ti fa già plusvalenza è un’occasione migliore.
Diritti televisivi e solidità economica, questo conta.

(Photo by Paolo Bruno/Getty Images

E’ vero che con l’avvento dei social le “chiacchiere da bar”, hanno avuto una risonanza maggiore ma a volte le polemiche montate da tifosi, giornalisti e appassionati, diventano vere e proprie lame pronte a ferire o addirittura sancire il diritto di vita e di morte sulle persone, che sia un calciatore o una dirigenza.
Cosa spinge, a volte, all’ipercriticità? 
L’insoddisfazione della vita personale, la noia, la cattiveria o spesso queste critiche feroci servono per dare una scossa al malcapitato di turno?

La leggerezza del tema. Principalmente quello; a Roma però i social hanno cambiato poco la situazione, nella Capitale gira tutto intorno al calcio ci sono sempre state ad esempio le radio romane a fare da megafono dando libero sfogo ai tifosi, le trasmissioni calcistiche le testate dedicate dove ognuno esprime il proprio punto di vista.
Il giocatore, il dirigente, sui social in realtà ha un contatto più diretto con la tifoseria, parlano, a volte sbagliando provocano e rispondono ed il pubblico si sente più autorizzato a criticare non avendo il filtro di stampa dirigenza ed altro, un contatto più diretto è pericoloso, ma è comunque una risposta.
L’insulto sul social è comunque un mezzo furbo per il tifoso perché non ci si mette direttamente la faccia, l’insulto ti da lo status di quello che sa che è più forte, che a lungo andare può anche farti diventare famoso, paradossalmente.

Quali obbiettivi ti sei prefisso con l’Associazione Italiana Calciatori?

Quello di riuscire a far categoria in altro modo e far partecipare sempre più calciatori, riuscire nell’intento di fare arrivare anche la loro voce, far sentire il loro parere, coinvolgerli e far emergere le loro storie anche la diversità delle varie realtà rispetto agli stereotipi che i media si ostinano a raccontare.
Non tutti sono calciatori come Messi e Ronaldo, ma nemmeno come Chiellini o Chiesa, esistono le difficoltà economiche di calciatori che militano nelle categorie minori che faticano ad arrivare a fine mese.

Si dovrebbe affrontare con molta più determinazione anche il tema della formazione che dovrebbe viaggiare di pari passo con la carriera sportiva per un inserimento lavorativo durante e dopo la carriera. Parliamo di calciatori che hanno tenori di vita molto bassi ed, una volta smesso di giocare, rischiano di perdersi: ecco, questo è un impegno che cercherò di spingere al massimo e che dobbiamo strutturare in ogni suo punto, mirando ad un’assistenza e vicinanza economica, legale e psicologica.

Altra novità, già approvata da circa un anno, è stato l’impegno del VAR.
Sembrava essere la soluzione a tutti i mali ed invece -dato l’uso consentito solo previa richiesta dell’arbitro, o in casi eccezionali- pare sia diventato l’ennesimo tormentone sul calcio.
Secondo te, si arriverà ad una totale esclusione dell’arbitro, che nonostante tutto è ancora l’artefice di una “cosa viva” che diverte proprio perché imprevedibile?

L’argomento VAR è complesso. Sposiamo un concetto essenziale al servizio della terna arbitrale, “evitare” errori, non “sostituire”.
Sapevamo tutti che il suo impiego avrebbe generato altre polemiche ma è uno strumento che dovrebbe avere la funzione di servire l’arbitro che deve tener conto già di tante dinamiche dovute alla velocità di gioco.
La sua funzione non è solo quella di valutare situazioni oggettive ma anche di interpretazione.
La proposta che si è fatta in realtà è quella di creare una classe arbitrale specializzata nel VAR, occorre stilare un protocollo dove il VAR possa intervenire e questo dovrebbe riguardare tutte le azioni: gol fantasma, rigori, calci d’angolo o rinvii dal fondo…

“Ora è un po’ un ibrido che se vai a vedere non accontenta nessuno proprio perché non segue linee guida precise.”

Totti. Un giocatore, il giocatore che ha rappresentato meglio di tutti il simbolo dell’attaccamento alla maglia ed ai colori. Come si arriva secondo te a questo rapporto esclusivo? E tu, che rapporto hai avuto e hai con lui?

Francesco fa parte di una generazione di ragazzi che si sono riconosciuti in lui. Ha avuto la fortuna di nascere e crescere in una città che ti da tanto e se tu riesci a dare tanto il rapporto diventa indissolubile. Rappresenta molto di più di un simbolo.

Sul nostro rapporto posso dirti che è stato fin da subito positivo per vari motivi; eravamo comunque giovanissimi entrambi, con tanti sogni, tante aspettative e con la voglia di fare bene.
Si sono attraversati momenti difficili che abbiamo vissuto con la squadra, abbiamo avuto sempre lo stesso punto di vista, valutando le stesse problematiche e superandole. Ancora oggi ci sentiamo ed abbiamo un bel rapporto, Francesco è una persona speciale.

foto Insidefoto.com

Alla Roma manca lo Stadio, sembra sempre ad un passo dall’essere posta la prima pietra, ma poi accade qualcosa che blocca l’iter.
Che sensazione hai in merito? Potrà questa società, una volta costruito lo Stadio, rinunciare alle plusvalenze puntando a diventare un grande club?

Io credo che la Roma speri sempre di fare plusvalenze: è una necessità societaria un po’ come ti dicevo prima. L’obiettivo è crescere a livello tattico, ma questo non esclude la funzione del mercato. Lo stadio attirerà finanziatori, sponsor, eventi, tutto ciò per permettere alla squadra di concentrarsi sugli obbiettivi primari.

Un grazie particolare a Damiano Tommasi e alla sua cordiale disponibilità.

 

Laura Tarani