Antonio Cabrini, un autentico fuoriclasse
Prima di lui, più tiepidamente, era stato Gigi Riva a catturare l’attenzione delle donne, anche di quelle totalmente disinteressate al pallone. Guarda caso, un precursore lombardo e mancino come lui. Ma spetta indubbiamente ad Antonio Cabrini il primato dell’ondata di quasi isteria femminile di massa legata ad un calciatore. Il “Fidanzato d’Italia” come è stato soprannominato sin dal suo esordio con la Juventus, il 13 febbraio del 1977, nella partita contro la Lazio terminata con il due a zero per la Vecchia Signora.
O ancora “Il Bell’Antonio” (con una citazione all’omonimo film interpretato da Mastroianni) durante i Mondiali del 1978 quando, in realtà, dimostra ben altro che la sua bellezza diventando temibile per gli avversari per la sua propensione all’attacco e al gol, unite ad una solida fase difensiva, tanto da essere votato a fine torneo come il “Miglior giovane dei Mondiali”.
Bastano i numeri a definire la grandezza di uno dei più affidabili giocatori che hanno militato nella Juventus e nella Nazionale: 350 partite in serie A, 35 reti segnate in 15 stagioni, tredici anni con la maglia bianconera (in cui ha vinto sei Scudetti, due Coppe Italia, tutte le Coppe europee e quella Intercontinentale); in Nazionale 9 reti, 73 partite giocate di cui 10 con la fascia di capitano, campione del mondo nell’indimenticabile finale contro la Germania nel 1982.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Cabrini, molto gentile e disponibile, il giorno dopo il suo compleanno; l’intervista si è aperta con un ricordo preciso.
Se le dico allenatore Nanni cosa mi risponde?
E’ stato il mio primo allenatore e talent scout – ci dice – sin dai provini con la Cremonese, a quattordici anni; ha visto in me qualcosa di interessante su cui lavorare. Diciamo che in un certo senso è stato l’allenatore più importante della mia vita: è stata la sua caparbietà che ha convinto mio padre, più propenso ad affidarmi la gestione dell’azienda agricola di famiglia, a lasciarmi giocare. E di conseguenza mi ha permesso di intraprendere la carriera da professionista.
A questo proposito Cabrini è particolarmente legato al trofeo Albertoni vinto proprio con la Cremonese, nel 1971, battendo la Juventus ai rigori. Quella Juventus nel quale arriva, dopo essere stato notato da un’osservatore, nel 1977.
“Il mio gol più significativo forse è stato proprio nel primo anno con la Juventus – precisa – in un derby contro il Torino che ci ha permesso di vincere la partita. In Nazionale invece il mio gol più bello quello contro l’Argentina ai Mondiali dell’82“.
Degli anni juventini Cabrini ricorda lo stile della Vecchia Signora, fatto di “Stabilità mentale, pensiero vincente, rispetto delle gerarchie” e anche l’ironia straordinaria del suo compagno di squadra Michel Platini.
Rispetto agli anni 80, come è cambiato oggi il calcio?
Sono due sport totalmente diversi – ci dice – neppure paragonabili: è cambiata la gestione, sono cambiati i metodi sia a livello di Società che di allenamento di squadra. I giocatori sono valutati diversamente, c’è più professionismo rispetto ai miei tempi in cui si accompagnava con una certa dose di romanticismo…
Le diversità sono così radicali che Cabrini non riesce ad identificare un ipotetico suo erede: “E’ cambiato il ruolo del terzino; io in fase difensiva marcavo l’ala destra che oggi invece gira per tutto il campo”.
Cabrini ha da poco dato le dimissioni da C.T. della Nazionale di calcio femminile, dopo cinque anni.
Quali le differenze con il calcio maschile?
Anche in questo caso devo dire che è un altro sport. Non tanto per le differenze dal punto di vista tecnico ma per le tante dal punto di vista psicologico. Le donne non mollano mai ma la loro prestazione in campo è influenzata molto dallo stato mentale in cui si trovano, e non solo da quello fisico.
A proposito di approccio mentale, Cabrini da qualche anno tiene sezioni di Mental Coaching presso alcune aziende: “Prendendo spunto dal libro che scrissi anni fa e che è un testo motivazionale, cerco di applicare nella vita di tutti i giorni, anche quella dei lavoratori ai quali mi rivolgo, le stesse regole; parlo del valore positivo della paura e di come la si può usare come trampolino di lancio”.
Nel suo, invece, di lavoro Cabrini vorrebbe fare un’esperienza all’estero e dichiara che vorrebbe vedere il calcio italiano gestito da ex giocatori, gente che ha vissuto sul campo insomma. Come il suo idolo di quando era bambino, Pierino Prati, calciatore fuori dalle regole, incontrato quando Cabrini era già un professionista. Perdendo un po’ di poesia, anzi, per dirla alla Cabrini, di romanticismo.
Silvia Sanmory