Emilio Sidoli: “La tragedia dell’Heysel l’ho colta 24 ore dopo…”

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Emilio Sidoli, all’epoca ventenne, era all’Heysel per assistere alla finale di Coppa dei Campioni; occupava il settore N, di fronte al tristemente noto settore Z. Solo 24 ore dopo, nel viaggio di ritorno, un titolo di un quotidiano gli darà la reale portata della tragedia… 

 

I ricordi sono come delle istantanee.

La prima, in questo caso, ritrae uno striscione steso a terra, intorno un gruppo di ragazzi con le sciarpe bianconere intenti a farne uno sfottò da srotolare.

Dietro di loro, si intravede un pullman pronto a partire con il suo carico di euforia e di cori, destinazione Bruxelles, obiettivo tifare la propria squadra del cuore per sostenerla nell’impresa di vincere la prima Coppa dei Campioni.

“In realtà non avevo previsto di andare a Bruxelles – mi racconta Emilio Sidoli, ventenne all’epoca dei fatti, che di quel viaggio bianconero faceva parte – è stata una decisione presa all’ultimo visto che un amico mi ha offerto un biglietto in più.

Siamo partiti da Cuneo la sera prima della partita e come avviene per le trasferte è stato un viaggio lungo ma sicuramente spensierato.

A Bruxelles abbiamo trovato una giornata di sole e di caldo, un buon auspicio per quella che pensavo sarebbe stata una giornata entusiasmante.

Invece,  dopo pochi passi nella piazza centrale della città, abbiamo avuto il primo impatto non piacevole con i tifosi inglesi.

Ci siamo visti arrivare una macchia rossa di persone che hanno iniziato a tirarci addosso bottiglie e ad inveirci contro.

Non eravamo di certo preparati ad una cosa del genere e ci siamo allontanati velocemente”.

“Ricordo che allo stadio Heysel non ci hanno controllato neppure i biglietti, era tutto molto vago e confuso, ed ho impressa nella mente la sensazione di disagio alla vista di quella struttura fatiscente, sovraffollata, con i settori divisi da inefficaci reti verdi tipo quelle da pollaio per intenderci. 

Uno stadio assolutamente inadatto come del resto era già stato fatto notare in precedenza dalla Uefa.

Tutti fattori che le autorità belghe hanno clamorosamente sottovalutato“.

Poche le forze dell’Ordine presenti quel 29 maggio 1985 all’Heysel nonostante le avvisaglie del pomeriggio: “La polizia era poca ed era terrorizzata ancora prima della partita – continua Emilio – incapace di reagire persino alle provocazioni più stupide degli hooligans.  

Non intervenivano.

Io ero nel settore N, quello del tifo organizzato, proprio di fronte al settore Z, debordante di tifosi inglesi separati da quelli italiani come ben sappiamo da un divisorio ridicolo”.

Torniamo alle istantanee della memoria.

La seconda ritrae un razzo luminoso e la scia di terrore che genera nel settore Z, famiglie e bambini increduli, dove irrompe.

La gente spaventata cerca di scappare, la macchia rossa degli Hooligans preme.

“Quel razzo lanciato verso il settore Z me lo ricordo come fosse accaduto ieri.

E’ stato il punto di partenza del caos, l’innesco della tragedia.

Ho visto la curva aprirsi.

Dal nostro settore non si percepiva del tutto la gravità della situazione; si percepivano inizialmente i tafferugli, la confusione generale.

La gente veniva schiacciata perché la polizia spingeva per non farla entrare in campo; polizia che era in balia degli eventi esattamente come i tifosi, anche la polizia a cavallo arrivata più tardi non prese iniziative.

Dal nostro settore intanto era iniziata l’invasione di campo e verso di noi correvano persone terrorizzate che urlavano, parlando di morti, tanti erano scalzi, sanguinanti.

Non capivamo bene a cosa si riferissero, ci sembrava impossibile; una situazione di confusione totale, inverosimile, che è durata tantissimo, così come il senso di irrealtà per quello che stava accadendo.

Ovviamente non era pensabile iniziare una partita in condizioni simili.

Almeno sino a quando in campo sono scesi gli stessi giocatori delle due squadre, per noi ricordo il capitano Gaetano Scirea, che hanno invitato i tifosi a tornare ai propri posti perchè la partita si doveva giocare per ragioni di ordine pubblico.

Ricordo che mentre gli Ultras juventini continuavano a rimanere in campo, forse più consapevoli di altri di quello che stava accadendo e non volendo si giocasse una partita insanguinata, la parte meno calda della tifoseria era di diverso avviso…

Ovviamente a quei tempi non c’erano i cellulari, non c’era Internet e non era possibile contattare nessuno e avere notizie in tempo reale.

Ognuno dava la propria interpretazione dei fatti.

Abbiamo vissuto la partita con una strana inquietudine.

Quando siamo usciti fuori dallo stadio, ancora una volta mescolati ai tifosi inglesi senza controllo e protezione alcuna, siamo immediatamente ripartiti; ho chiamato casa per rassicurare la mia famiglia da un autogrill dalle parti di Strasburgo, mi ricordo gli insulti di mio padre per non avere chiamato prima e poi le lacrime di mia mamma.

Ma la consapevolezza di quello che è realmente accaduto all’Heysel l’ho avuta soltanto a Bardonecchia, quasi 24 ore dopo, ancora in viaggio; li ho comprato un quotidiano e il titolo inequivocabile mi ha raggelato: 39 morti. 

Ho impiegato quasi un giorno ad avere il senso della tragedia, prima erano solo chiacchiere, poi un dolore acuto, una coltellata allo stomaco”.

L’istantanea, la terza, ritrae altre strisce di tessuto stese a terra, quelle dei lenzuoli, a coprire chi è morto soffocato per colpa della furia di qualcuno, chi è morto sotto un muro che sembrava di carta, crollato inevitabilmente.

“Tre mesi dopo l’Heysel – mi dice Emilio –  sono andato a Liverpool per una partita, era stata organizzata una cerimonia per ricordare, per raccontare la tragedia. 

Ma a metà partita sono venuto via, non mi sentivo al sicuro, non eravamo al sicuro visto il clima.

Quello che è successo a Bruxelles, è ormai assodato, è stata una rivalsa nei confronti non tanto dei tifosi della Juventus ma dei tifosi italiani in generale per quello che era successo un anno prima a Roma, in occasione della partita Roma – Liverpool, con gli inglesi aggrediti che avevano giurato vendetta”.

Bruno Pizzul, al quale toccò il compito della telecronaca dell’Heysel, senza falsa retorica ha detto che il tifo deve essere espressione gioiosa di appoggio ai propri colori, ma non va mai perso di vista il rispetto e la tolleranza verso gli altri.

Che l’Heysel, almeno, insegni qualcosa e non sia soltanto quella terza, drammatica, istantanea di vita vissuta.

Silvia Sanmory

 


 

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