Dio e i campioni: gli atleti di Cristo che giocano per lui

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Chissà quante volte abbiamo pensato che il denaro, soprattutto in quantità esponenziale, sia indicativo di una vita di perdizione, superficialità, aridità. Ma non sempre è così. Se, infatti, come diceva Andreotti :”Il potere logora chi non ce l’ha”, è vero anche che non tutti i campioni trascorrono le loro giornate tra aperitivi, e shopping. Molti di loro, al contrario, non perdono occasione per “evangelizzare” soprattutto all’interno del campo. Tra i tanti che non hanno mai perso occasione per ringraziare il buon Dio sui campi verdi, facciamo un excursus dei più significativi. Primo tra tutti Marcelo Salas, cileno, ex attaccante della Lazio che voleva ”semplicemente parlare di Dio in ogni occasione” e dopo ogni gol si inginocchiava, faceva il segno della croce ed alzava la mano in alto ad indicare il Regno dei Cieli. ”Mi piace parlare con Dio. Ci parlo sempre e molto”. Così diceva. Ancora, el Pibe de Oro, il grande Diego Armando Maradona, che in un’intervista, diventata poi libro ad opera di Giampaolo Mattei, ha commentato:”Penso sempre a Dio, e so che Lui da lassù ci guarda tutti, ma proprio tutti eh!”. Lo stesso Christian Vieri dichiara che:”Non è che prego. Ma penso alle cose belle del mondo e vado in Chiesa a pensare in tranquillità”. Al contrario di Vieri ci sono persone che per praticare i valori cristiani alla lettera hanno rinunciato alla loro carriera sportiva come Kovacic: ”Nella mia scala di valori la fede in Dio è al primo posto. Al secondo la famiglia. Lo stile di vita che si pretende dai calciatori è lontanissimo dai miei valori. Se uno ti fa un fallo glielo devi fare”, e così, è ritornato in Croazia dove vive in campagna coltivando un appezzamento di terreno in pace e serenità con la sua famiglia:”Prego il Signore, a lui voglio donare la vita. C’è felicità più grande?”. Demetrio Albertini ha cominciato a giocare a calcio all’oratorio. Il fratello prete gli ha fatto promettere di non bestemmiare e soprattutto di convincere i compagni di calcio a non farlo neanche nei momenti in cui l’ira è alle stelle. Edison Cavani, uno dei migliori attaccanti del mondo, non perde occasione per ricordare che i suoi successi non sono altro che merito dell’intervento divino. Il suo amore per Gesù è più noto delle sue prodezze sportive. Lui stesso si definisce un “Altleta di Cristo”. Sturridge, attaccante inglese, ai festeggiamenti del suo 50° goal ha dichiarato:”Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto solo attraverso l’intervento di Cristo che mi fortifica”. C’è, poi, chi ha fatto del calcio addirittura un motivo in più per evangelizzare, come il calciatore della Corea del Sud Park Chu Young che ha dichiarato: ”La principale ragione per cui gioco a calcio è evangelizzare le persone. Sarei felicissimo se una persona conoscesse Cristo a causa mia”.

Weah da parte sua ha cambiato religione. Pur essendo nato da famiglia cristiana è diventato musulmano. Prega cinque volte al giorno, ovunque:”Ho capito che l’Islam è la religione giusta per tutti i neri del mondo.”
Su questo ci sentiamo di dissentire. Ognuno sa nel profondo del proprio cuore qual è la religione giusta. La fede è un dono che va coltivato giorno dopo giorno, ognuno a modo proprio e con tutto l’amore che ha. Quanto poi siano capaci i nostri campioni di mettere davvero in pratica il bene, quanto lo siamo noi, questo non lo possiamo stabilire né qui, né ora.
Da parte nostra possiamo però essere certi di una cosa: ”Voi valete quanto vale il vostro cuore”, diceva Giovanni Paolo II, e i campioni che lodano, ringraziano, diffondono il nome di Dio ogni volta che possono, hanno di sicuro un cuore immenso.

Rosa Di Filippo