Home Estero e Coppe UEFA Champions League Di cuore, di pancia, di voce: Napoli, Liverpool e le tifoserie “carnali”

Di cuore, di pancia, di voce: Napoli, Liverpool e le tifoserie “carnali”

Una similitudine di cuore tra Napoli e Liverpool

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Dopo il pareggio Champions nel mitico Anfield, Napoli e Liverpool sono  più vicini agli ottavi ma vicini ancor più per un tifo che è oltre il “solito” tifo.

Le due squadre, affrontatesi svariate volte tra amichevoli e competizioni europee, hanno terminato l’ultima sfida con un pareggio che proietta entrambe verso gli ottavi (salvo clamorose sorprese il 10 dicembre). Partita giocata strenuamente, con i campioni d’Europa in carica forti di un’imbattibilità spaventosa e gli azzurri in pieno momento di crisi: l’ammutinamento post gara contro il Salisburgo ha ancora vivo il suo strascico.

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This is Anfield

Un risultato che fa ben sperare soprattutto per i secondi, a caccia di una rivalsa necessaria in campionato e un passaggio di turno in Champions che servirebbe come l’aria anche per riavvicinare la squadra ai suoi tifosi.

Già, i tifosi. Quelli azzurri, appassionati, veraci: i tifosi che vivono di pallone e vivono per il pallone, che fanno il diavolo a quattro per seguire la propria squadra sostenerla dall’inizio alla fine di ogni incontro con un tifo he più di cuore non può essere. Si nasce napoletani perché si ama Napoli. Un po’ come Liverpool.

La storia del club inglese somiglia a quella dell’araba fenice. Lo spartiacque di questa storia ha una data ben precisa, impressa nella storia, purtroppo tragica, del calcio mondiale: 29 maggio 1985. La tragica sera dell’Heysel –  oltre all’assurda morte di 39 innocenti colpevoli solo di aver desiderato essere presenti alla finale dell’allora Coppa dei Campioni tra il Liverpool e la Juventus –  condusse dritto dritto il mondo Liverpool ai margini del calcio mondiale.

Per anni l’incubo hooligans ha tormentato il calcio inglese e non solo.

Gli interventi drastici degli anni successivi adottati dal governo della celeberrima Lady di Ferro Margaret Thatcher, posero fine ad un’assurdità che di sportivo e calcistico non aveva niente. Squadre inglesi squalificate ed escluse da tutte le più importanti competizioni, tra queste il Liverpool. Anni di oblio, di lenta risalita, di faticosa risalita.

Il tutto insieme ai suoi tifosi, a quei “rossi” appassionati, veraci, instancabili cantori dell’inno simbolo non solo della squadra, ma di chi ha il tifo attaccato ad ogni organo, arto o muscolo.  È così “You’ll never walk alone”, un inno all’amore indissolubile, al camminare insieme, tra valli sconfinate o percorsi tortuosi, ma mai da soli.

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Più di un inno, una promessa, un atto di fede, quello che il calcio, per pura e solo pura passione, dovrebbe avere come cardine: la fede.

Liverpool e Napoli sono simili anche per questo; a Napoli un tempo si cantava “Oi vita, oi vita mia, oi core ‘e chistu core…”. Ora non si sente più questa canzone al San Paolo, ma sarebbe bello da parte dei tifosi azzurri ripescare nella memoria storica di ognuno che si definisca tifoso, un inno all’amore per una squadra che altro non è che amore per la città.

Sarebbe bello rivedere l’azzurro che intona Oi vita, oi vita mia, insieme al rosso che promette alla sua squadra non camminerà mai sola.

Simona Cannaò

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