Si va ai rigori. Ai rigori.
Le partite che si decidono ai calci di rigore sono, per me, la cosa più simile alle sofferenza fisica che abbia mai provato.
Provo proprio dolore a guardare le sequenze di calci dagli undici metri.
Soprattutto quando devono determinare l’esito di una finale.
Tutte le volte che una partita di calcio si è decisa in questo modo, non ho mai avuto il coraggio di guardare. È stato così per l’Italia nel 2006, e non poteva essere diversamente in questo Europeo.
Mi giro di spalle e aspetto. Cosa non si sa, visto che abbasso anche il volume del televisore: ma aspetto.
Questa volta però ho trovato un valido alleato alla risoluzione del mio problema.
Giacomo ha 15 anni, una carriera da aspirante centrocampista e una passione per il calcio sfegatata. Lo conosco da quando era piccolo piccolo e abita dall’altra parte della mia strada.
Giacomo, il pallone e il suo pezzetto di giardino sono la cronaca di una giovane vita, con qualsiasi tempo, caldo e freddo. Con la casacca della Juve, della Nazionale o della squadra locale per la quale milita.
È stato lui a fare la telecronaca dei calci di rigore azzurri in questo Euro 2020. Non solo per me, credo, ma per tutta la via considerati i decibel della sua voce.
Come ai gol di Locatelli o di Chiesa nelle partite precedenti, sapevo che le sue urla di esultanza mi avrebbero raggiunto con chiarezza dalle finestre aperte dei nostri appartamenti in queste calde sere d’estate.
Sapevo che potevo girarmi dall’altra parte e abbassare il volume senza timore di non sapere.
Sia con la Spagna, sia con l’Inghilterra c’è stato il suo grido a scandire degli attimi che sarebbero altrimenti sembrati interminabili.
Mi bastava soltanto sapere chi delle due squadre, per prima, sarebbe andata sul dischetto. Il resto lo ha fatto lui.
Anche sull’ultima parata di Gigio Donnarumma, quando la sua esultanza è diventata così prolungata da riportarmi con gli occhi incollati sullo schermo dove già tutti si abbracciavano e piangevano.
Perché pure io, come Gigione, non avevo capito che gli Azzurri avessero vinto, infine.
Il calcio è uno sport meraviglioso anche per questo: unisce in tutto, anche nelle “debolezze”.
Perché là dove lo spirito velleitario e spregiudicato non è più quello di una volta (anche se la passione resiste), c’è qualcun altro che ti presta il suo, anche se magari nemmeno lo sa.
Questa Nazionale ha vinto per tutti, ma ha vinto soprattutto per i ragazzi come Giacomo, costretti dentro quattro mura da più di 18 mesi.
E meno male, che abbiamo la loro voce che si alza piena di gioia, a ricordarci che il modo migliore per esultare è quello di farlo insieme.
Daniela Russo