Sulle calciatrici ci sono ancora stereotipi e pregiudizi che mettono in dubbio la serietà e spesso la loro femminilità.
In Italia il calcio è maschio: giocatrici, tifose, giornaliste e appassionate sono tollerate ma mai considerate alla pari degli uomini.
Per fortuna, nel recente passato ci si è adeguati agli standard europei rendendo professionale il calcio femminile: le calciatrici vantano almeno uno stipendio, diritti e protezione per la maternità.
Parafrasando Neil Armstrong (primo uomo a posare i piedi sulla Luna): “E’ un piccolo passo per questo sport straordinario, ma un gigantesco balzo per la categoria”.
Abbiamo voluto incontrare Deborah Salvatori Rinaldi, calciatrice professionista, attaccante della Ternana.
Deborah è una bellissima ragazza dagli occhi azzurri luminosi, dolce, sensibile, colta e dai modi gentili.
Daborah è anche un’artista, passione che ha sempre coltivato in contemporanea al suo lavoro, il calcio.
Ci ha aperto una porta su un mondo la cui conoscenza è ancora da approfondire.
Non ci stupisce di trovarci al cospetto di una ragazza dal mondo interiore ricco di sentimenti ed emozioni che desidera esternare e condividere con chi le vuole bene, è altresì una professionista seria e determinata in campo.
Grazie Deborah per essere qui con noi.
L’arte e il calcio sono le tue grandi passioni, ci racconti un po’ di te? Come nasce questo dualismo in apparenza agli antipodi e quando, da bambina, hai percepito di essere affascinata da quella palla che rotola?
Ho sempre giocato a calcio e ho sempre creato. Sono le costanti della mia vita. Da piccola giocavo per strada e praticavo ufficialmente altri sport come la danza, il baseball, il pattinaggio artistico…. Semplicemente non sapevo potessi far parte di una squadra di calcio. Da quella strada raccoglievo le pietre e le pitturavo per poi venderle in cambio della merenda. Ho sempre usato mani e piedi allo stesso ritmo senza fermarmi mai.
Il tuo ruolo in campo è quello di attaccante: ti senti legata ad una squadra e ad un particolare campione che senti affine nello sport e non solo…?
Sono cresciuta tifando la Juventus e cercando di imitare le gesta di Pavel Nedved, nonostante sia mancino e non prima punta. Amavo il modo in cui tirava in porta e la dedizione alla fatica e al gruppo.
Quando il calcio è diventato il mio lavoro ho abbandonato le vesti della tifosa senza troppa fatica. Mi piace seguire il calco in generale e mi piace fare il tifo per la squadra in cui gioco. Ho amato la Fiorentina e il Milan e quando giocano la mia preferenza va sempre verso questi colori perché per me sono stati una famiglia.
C’è una collega calciatrice che stimi particolarmente e perché?
Le calciatrici che stimo sono quelle che mi hanno cresciuta nel mio percorso: ho preso pezzettini di loro che forse loro neanche immaginano. I nomi che porto nel cuore sono Boni, Motta, Schiavi, Paliotti, D’Adda, Rodella, Marchitelli, Orlandi, Guagni…mi hanno dato qualcosa di più di un assist o una vittoria.
Parliamo di arte e delle tue qualità di artista: quale tecnica artistica utilizzi prevalentemente per realizzare le tue opere?
“La mia collezione più importante si chiama T-Art, ed è un tipo d’arte che si mischia con lo sport.
Utilizzo divise da gioco originali e incastonate della tela unendo colore e storia.”
Per tutte le altre tele non ho una tecnica specifica ma prediligo quella del movimento e dell’ispirazione momentanea in base alla composizione e all’armonia degli elementi e dei colori.
Per te l’arte è comunicazione o espressione di un sentimento?
Per me l’arte è sicuramente, sia un mezzo di comunicazione che espressione di sentimenti. Attraverso l’arte, gli artisti possono trasmettere messaggi, emozioni e concetti complessi in modi unici e coinvolgenti. L’arte può essere un potente strumento per comunicare idee, storie e prospettive, ma può essere un modo per esprimere emozioni personali e intime. Può essere un linguaggio universale che connette le persone, stimolando la riflessione e l’empatia.
L’associazione Centro Studi Sport e Valori, i’1 settembre ha organizzato un evento al Convitto G.B. di Chieti dove hai esposto le tue opere, ci racconti le emozioni di quella serata?
È stata una bellissima serata, una “prima” per me, che abituata ai riflettori del calcio sono passata a raccontare la mia arte. Sono stati tutti speciali, ringrazio ancora l’associazione Centro Studi sport e Valori che ha permesso tutto ciò.
La tua carriera di calciatrice ti ha permesso di crescere come artista?
Assolutamente! La mia carriera da calciatrice mi ha permesso di crescere come artista in molti modi. Alcune volte anche semplicemente spronandomi: ho dovuto imparare a ritagliarmi del tempo per la mia creatività. Inoltre il calcio mi ha dato la possibilità di viaggiare in diversi paesi, conoscere persone di diverse culture e vivere esperienze uniche. Queste esperienze hanno arricchito la mia prospettiva artistica permettendomi di esplorare temi e stili diversi, ispirandomi lungo il mio percorso.
“Il calcio e l’arte hanno in comune il bisogno della capacità di adattarsi rapidamente alle situazioni.”
Nel tuo ambiente di lavoro ci sono colleghe che condividono con te la passione per l’arte?
A dire il vero non ho mai conosciuto una collega calciatrice che avesse la mia stessa passione, o meglio che la praticasse sporcandosi le mani con i colori come me, però mi capita spesso di condividere con le mie compagne di squadra momenti creativi. Ogni tanto le faccio dipingere o sdegnate con se fosse un esercizio di team building.
Sei originaria di Penne in Abruzzo, terra ricca di storia e natura. Questi elementi sono fonti ispirative nel tuo lavoro artistico?
La natura in generale è fonte d’ispirazione, ma io in particolare sono dipendente dal mare e dal sole. Sono i miei compagni nel bene o nel male. Le mie opere girano intorno a questi elementi.
Hai lasciato giovanissima il luogo di origine per diventare calciatrice e hai cambiato diversi club. Il calcio cosa ti ha dato fino adesso?
Ho vissuto in città bellissime che mi hanno lasciato tanto. I luoghi e le persone che ho incontrato nella mia vita mi hanno resa quella che sono oggi. Sono stati veramente tanti i passanti in questa mia carriera, ma quello che mia lasciato il calcio sono ricordi indelebili e amicizie uniche.
Il Calcio femminile in Italia, possiamo dire “finalmente”, è stato riconosciuto come professione ( in ritardo rispetto ad altre nazioni ma ci siamo arrivati). In questo per la partita di genere, c’è ancora molta strada da fare?
Assolutamente si! Nonostante i progressi fatti nel riconoscimento del calcio femminile come professione in Italia, c’è ancora molta strada da fare per raggiungere la parità di genere in questo sport. Sebbene si siano fatti importanti passi avanti negli ultimi anni, ci sono ancora disparità evidenti tra il calcio maschile e quello femminile. Inoltre, la disparità salariale è ancora un problema nel calcio femminile. Le calciatrici guadagnano meno dei loro colleghi maschi, nonostante siano altrettanto talentuose e dedite al loro sport. Questo crea una situazione ingiusta e limita le possibilità di crescita e sviluppo per le calciatrici professioniste.
Deborah, a soli 31 anni, ad un certo punto della tua vita e della tua carriera ti sei trovata ad una dura e inaspettata prova da superare: hai dovuto affrontare un tumore. Oggi come stai?
Ancora non benissimo, sono in fase di ripresa ma devo gestire gli alti e bassi che ho quotidianamente. Non sono più su rettangolo di gioco a lottare con le mie compagne, ma sono al loro fianco ricoprendo il ruolo di responsabile dell’immagine e della comunicazione della Ternana Women… In attesa di sapere e capire se un giorno potrò ancora esultare per un mio gol.
Le auguriamo di vero cuore, di tornare al più presto ad esultare per un suo gol:
DEBORAH NOI TIFIAMO PER TE!!!
Cinzia Fresia