Non è trascorso neanche un mese da quando la Uefa aveva stroncato ogni via di fuga da quella che sembrava una delle pagine più tristi del calcio nostrano degli ultimi dieci anni. Il Milan, il club rossonero più titolato d’Italia, il secondo al mondo dopo il Real Madrid, fuori dalle competizioni europee.
L’altalenante stagione milanista, il promettente – fin troppo – mercato dello scorso anno, l’esonero di Montella, Gattuso e la prima bella vittoria del derby in Coppa Italia preludio della gioia fino alla finale vinta poi dalla Juventus, la stremante resistenza fino a conquistare quella Europa League quando nessuno ci avrebbe più creduto: poi il tonfo.
Una stangata nelle ginocchia, dopo qualche iniziale sentore diventato sempre più certo, la Uefa respinge ancora una volta il progetto rossonero con fatica messo a punto dalla coppia Fassone/Mirabelli di un progetto che doveva render conto alla proprietà d’Oriente nelle mani di Yonghong Li. Il cinese dopo reiterati mancati pagamenti, muove un ulteriore tentativo di temporeggiamento nei pagamenti dinnanzi alle sempre più insistenti richieste di risarcimento mosse dal fondo creditore.
Le certezze finanziarie pressoché nulle agli occhi degli organi di controllo finanziari, malgrado il lavoro della dirigenza milanese volto a garantire risultati sulla base di quanto ottenuto durante il corso della scorsa stagione. Inutile il temporeggiamento, il board di controllo non trova basi sulle quali porre fiducia e vara per la peggiore delle sanzioni. Intanto dagli Stati Uniti finisce la pazienza e la società passa nelle mani del fondo facente capo a Paul Singer. Il cambiamento sembrerebbe voler essere graduale ma lo stravolgimento diventa inevitabile e dopo l’elezione di Paolo Scaroni come presidente, a saltare anche Mirabelli e Fassone. Leonardo è la prima grande new entry, un ritorno che alle prime battute lasciava qualche perplessità per via del passato: mai digerito a pieno il passaggio in sponda nerazzurra, un tradimento quasi perdonato. Arrivato come Messia nonché salvatore di un popolo che pareva smarrirsi non poco, resosi protagonista di uno sconvolgimento di scenari che ha fatto e fa ancora discutere.
Da Leonardo a Leonardo
Un ritorno di fiamma clamoroso che ha destato un rumore tale da riflettere su quella fantomatica frase recitata dallo stesso al suo arrivo a Milanello: gli equilibri li ha spostati e non poco. Leonardo (Bonucci) torna alla Juve, lì dove dice di sentire “ancora casa”, nella stessa casa però dalla quale era uscito sbattendo porte e sgabelli. Sì, sgabelli, gli stessi sui quali era stato relegato in spedizione punitiva da Allegri, quello che al Real non sarebbe voluto andare perché la Juve è una grande squadra ma che suggeriva a Dybala di lasciare per andare in una grande squadra; per poi, ancora, accogliere a braccia aperte Cristiano Ronaldo, migliore sì ma trentatreenne e che infine riaccoglie un altro trentenne, salutando senza neppure troppo rammarico un ventiquattrenne. Bonucci, l’uomo del mistero di Cardiff e dello sciacquatevi la bocca, tornato da quel popolo al quale aveva girato la maschera segnando in quello Stadium che era e sarà casa. Dybala, Allegri, Bonucci, Chiellini e pure Barzagli nella sua ultima stagione: gli stessi di Madrid meno uno, Buffon e più uno, Ronaldo, uno che conta per 7. Sette come il numero del mito bianconero e come il numero di maglia che eliminò dall Champions e dai giochi il capitano in una notte ancora più strana di Cardiff, ripensandoci.
Coincidenze e ridondanze. Chissà Buffon che ne pensa di tutto ciò, mentre da Parigi circola la sua performance canora. Intanto alla Continassa già prima l’arrivo di Cr7 erano stati inviati segnali di addio con il Pipita, che da bomber indiscusso viene messo sul mercato, accostato a diversi club e che in men che non si dica viene spedito a Milano insieme a Caldara, sul quale si era rivolto gran parte delle attenzioni bianconere. Due pilastri scardinati dal nulla e impacchettati per quelli che un tempo, i romantici lo sapranno, erano tra i peggiori degli avversari. Caldara e Higuain a discapito di Bonucci che torna a Torino. Un capitano meteora durato meno di una storia Instagram lì dove aveva creato il suo castello di amore e dedizione.
Uno schiaffo morale pensando ad un passato glorioso fatto di bandiere e lontano tanto da far male.
Un passato di cui rimane un solo eroe: l’uomo sulla panca, unico sopravvissuto e primo sul tavolo degli inquirenti.
Un’operazione che però ad onor di logica vale più di un tradimento di cui ci si può volentieri non curare tenendo conto che con l’arrivo dei due ex bianconeri si rinforzano due reparti. Una manovra che è valsa una difesa promettente e non poco: a Romagnoli giocatore apprezzato da molti club e che tanto aveva fatto gola alla Juventus che sperava di poter attingere dallo smarrito club rossonero, si aggiunge l’ex Atalanta; un preziosissimo regalo per Rino Gattuso che sposa perfettamente il progetto.
A corroborare la rosa anche il bomber di esperienza che in casa del diavolo mancava da parecchio tempo, Higuain, il marcatore delle partite importanti, realizzatore di gran parte delle reti del campionato italiano degli ultimi anni. Cosa manca davvero a questo Milan?
Ritrovata la stabilità economica e il Tas a ridar speranza annullando la decisione della Uefa grazie alle nuove e rassicuranti basi economiche dalle quali ripartire, una rosa clamorosamente riassestata e un asset dirigenziale ristabilito, a questo Milan l’unica cosa che manca è solo un po’ di serenità e tornare ad essere lì dove la storia pretende si stia.