Era il 2 luglio 1997 e onestamente quel giorno lì non me lo ricordo neppure per un secondo, probabilmente sono in pochi gli interisti che si ricorderanno il giorno del suo arrivo.
Quantomeno gli interisti contemporanei, quelli che oggi a lavoro sono andati con la Gazza sottobraccio e il ghigno di chi, malgrado un triste 0-0 contro un Sassuolo quasi eroico – guidato da uno strepitoso Boateng clamorosamente diventato blaugrana – poco più di ventiquattro ore dopo sta comunque ancora pieno di soddisfazione per il primo penalty sbagliato del ‘perfetto’ CR7.
Ma qui quella di cui vi voglio parlare è un’altra storia, quella di un allenatore e di un signore prima di tutto, diventato eroe ma non idolatrato a pieno, non a tempo debito almeno. Non nel tempo in cui quell’allenatore dai modi gentili riuscì a passare alla storia come l’allenatore che invase il campo e si inalberò senza neppure troppi mascheramenti, inveendo contro il dirigente di gara tiranno che lo stava saccheggiando di ciò di cui di più caro aveva: il merito.
Si giocava Juventus-Inter, il derby d’Italia più famoso di tutti i tempi vinto dai padroni di casa, per merito di quel dirigente di gara contro il quale il signore dai modi garbati e mitigati perse le staffe e diventò ‘il folle che invase il campo’; lo stesso che oggi continua a non salutarlo e a far finta di non vedere anche vent’anni dopo, anche contro le prove schiaccianti.
Ma d’altronde si sa, Ceccarini è ormai fin troppo noto alle cronache proprio per le ‘sviste’: le stesse che Simoni mai gli perdonerà, specie quella di quel 26 aprile ’98 che a Simoni gli costò un secondo posto che lo bollò come perdente. Perdente dello scudo, della lotta contro la Juventus ma soprattutto perdente di quello che fu il suo più grande amore: l’Inter.
Eppure quella lotta la vinse, ma soltanto anni dopo e nel peggiore dei modi, attorno ad un tavolo, dove a venir fuori furono gli altarini raccapriccianti di un sistema altrettanto macabro, che però a Gigi regalarono un sorriso e una rivincita a metà.
Perché quel 26 aprile Simoni fu veramente defraudato di qualcosa più grande di un semplice titolo e non bastò in quel caso la tripletta nerazzurra più bella di fine millennio: quella al Parco dei Principi che regalò all’Inter di Gigi l’unico vero grande trionfo, la Coppa UEFA conquistata contro la Lazio grazie ai goal di Zamorano, Zanetti e Ronaldo. Trionfo ma mai gioia, come egli stesso ammise.
“Scappai negli spogliatoi amareggiato per le voci che circolavano sul possibile arrivo di Zaccheroni”
Non bastò a fargli passare l’amaro in bocca, tantomeno a staccare un pass di fiducia dell’allora presidente Massimo Moratti che più volte lo aveva messo in discussione. Solo qualche mese dopo, stanco di risultati ‘sul finale’ lo esonerò lo stesso giorno in cui fu eletto miglior allenatore – vincendo la Panchina d’Oro. Nonostante la vittoria della sera prima per 2-1 con gol allo scadere di Zanetti contro la Salernitana e quella di qualche giorno prima, contro il Real Madrid, a Gigi fu preferito Lucescu che prese il suo posto: oltre il danno anche la beffa, proprio contro la Lazio ma stavolta in Coppa Italia.
Ci rimase malissimo Gigi quando Mazzola – e non Moratti – gli comunicò l’esonero, specie perché la Beneamata era stato il suo più grande amore professionalmente parlando e perché lui quell’Inter la amava quasi più di sé stesso. E non a caso avevan vinto contro quel Real di cui minimizzava la forza con i suoi per mitigare la tensione.
“Tranquilli ragazzi, tanto domani mica giochiamo col Real Madrid…”
La sua Inter, la stessa che oggi emoziona ancora a rivederne i videoclip, fortissima e bellissima, con la coppia d’attacco più fenomenale di sempre, come egli stesso ricorda, con Ronaldo e Zamorano, Zanetti, Pagliuca e Colonnese, West, Djorkaeff e Simeone.
E quando gli si chiede di un attaccante, quasi sempre con il sorriso risponde
“E’ un grandissimo giocatore ma io avevo Ronaldo e c’è una gran bella differenza”
Dopo Gigi, l’Inter non ebbe uno spettacolo migliore come Moratti auspicava, tantomeno risultati migliori. Specie perché, per vincere qualcosa l’Inter dovette attendere un altro bel po’. Dopo l’Inter, invece, Gigi continuò la sua carriera variegata come lo era stata prima di Milano, tornò a Napoli nel 2003 (lo aveva allenato poco prima di passare all’Inter, nella stagione 96-97), ma prima passò al Piacenza, al CSKA, ad Ancona, per poi andare a Siena, alla Lucchese, e infine Gubbio e Cremonese.
Detiene ancora il primato di promozioni in Serie A, 7 per l’esattezza, ottenute due volte con il Genoa, dove si sedette per la prima volta sulla panca, nel 75-76, 80-81 e con il Pisa, 84-85, 86-87; una volta con il Brescia 79-80, con la Cremonese nel 92-93 e con l’Ancona nel 2002-03.
Oggi Gigi Simoni compie 80 anni e personalmente lo ringrazio ancora come l’uomo gentile che con quel suo unico titolo nerazzurro mi regalò la prima gioia calcistica.
Egle Patanè