Chapecoense, quel sogno decollato e infranto sul più bello

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Un sogno trasformatosi in un incubo…
Il 28 Novembre sarà per sempre ricordato per il disastroso schianto del volo 2933 del LaMia Airlines con a bordo la squadra del Chapecoense.

 

Il calcio, quale insensato sport; inutile e scialbo. E ancora, il calcio è solo business, non frega a nessuno della maglia che indossano tantomeno della passione, è solo un modo come un altro di far soldi…

Opinioni.

Opinabili ma, pur sempre opinioni (pardon il giro di parole) e sebbene ci sia un fondo di verità labilmente rintracciabile circa i luoghi comuni secondo i quali il calcio sia mera demenza nel rincorrere una palla, un turbinio di business, fior di quattrini elargiti a chi nient’altro fa che “Giocare” esule da ogni sacrificio, c’è chi, con il cuore spezzato, inchina la testa e, perché no, asciuga qualche lacrima pensando a quanto ingiuste siano tali sentenze.

Come una sorta di processo, lo sputa sentenze vira per la decisione potenzialmente più veritiera, eppure, dall’altra parte qualcuno ne soffrirà comunque. Il vinto, quello battuto, resterà in silenzio a sorbire la decisione di un giudice che forse non ha poi guardato così bene oltre un palmo di naso. Per il calcio è esattamente lo stesso. Quanto il calcio non conti niente, quanto esso sia banalità priva di sacrifici, andate a chiederlo ai brasiliani, tra le favelas di Rio ad esempio, dove i bambini imparano a palleggiare con le uova, costruiscono campetti da calcio tra le macerie, calciano scalzi un pallone che poi, a parte la forma – sbilenca tra l’altro -, non somiglia neanche ad un pallone. Andate a chiederlo a chi è cresciuto in mezzo alla più totale povertà trovando conforto in due miseri stracci appallottolati sognando, magari, un futuro alla Neymar, Ronaldinho o Ronaldo.

Sognare non costa nulla e a volte i sogni diventano realtà. E’ raro – c’è da ammetterlo – ma, a volte capita ed è così che succede che Lionel Messi, bambino argentino dalla salute cagionevole diventa il re del Barca, è così che Ronaldo sbarca in Europa da perfetto sconosciuto, così il Sassuolo si qualifica in Europa League, il Leicester vince la Premier, o il Chapecoense dopo una vita vissuta tra le piccole, nel 2014 a seguito di un’escalation memorabile, arriva secondo nel campionato di serie B qualificandosi nella massima serie brasiliana. Chapecoense, squadra che tre quarti di noi non conosceva neanche fino a due giorni fa; una piccola cenerentola d’oltre oceano che trova, anziché perderla, la sua scarpetta e incanta tutti fino ad aggiudicarsi la finale di coppa Sudamericana (l’equivalente della nostrana Europa League). Finale divisa in due match, quello d’andata in programma per il 30 novembre e, quello di ritorno, in programma per il 7 dicembre. A un passo dal sogno anche se, quel sogno il Chapecoense lo stava già vivendo scrivendo la storia con la loro favola iniziata nel non troppo lontano 2009 quando, dalla serie D sono stati promossi in C; e allora, chissà come dev’esser stato, chissà come si saranno sentiti, chissà quale adrenalina avrebbero scaricato ieri che su quel campo di calcio, la posta in gioco era di una caratura non indifferente. Appunto, chissà…
Un aereo con direzione Medellin e tutto sembrava davvero realizzarsi: entusiasmo, incredulità, felicità, ansia, preoccupazione; si vola verso un obiettivo da non sbagliare, da centrare a tutti i costi per realizzare una favola forse irripetibile. Sorrisi, tanti. Speranza e voglia di vincere, foto, dediche, risate. Una giovialità che raramente si sarebbe dimenticata da lì a chissà quanto tempo in avanti ma, qualcosa o qualcuno – questo non si sa – ha pigiato il tasto stop proprio sul più bello e quella che era la più bella delle favole si è tinta di una cupidigia immane trasformandosi in una delle più strazianti tragedie di sempre. Il vuoto prima, lo schianto dopo e il sogno non c’è più perché il volo 2933 del LaMia Airlines è misteriosamente precipitato e disintegrato al suolo stroncando la vita di 76 persone (tra cui giornalisti, dirigenti,  membri dello staff e giocatori) e un sogno dal quale, dopo essersi trasformato in un incubo, non ci sveglieremo mai.
Quali siano le cause non si sa ancora e, forse, non si sapranno mai; esaurimento di carburante? Guasto elettrico? Poca reattività di risposta agli sos? Una matassa di cause potenzialmente determinanti e potenzialmente tutte plausibili, eppure, mentre qualcuno sta cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle che difficilmente verrà completato da qui a poco, 76 persone hanno ingiustamente perso la vita colpevoli di aver inseguito un sogno tintosi di probabile realtà, colpevoli di aver gioito e sognato grazie ad una passione mai messa da parte, di aver lottato e perseguito una voglia di rivalsa e di crescita; colpevoli di non aver creduto a chi, con disprezzo e presunzione, li aveva incitati a lasciar perdere quel triste gioco che è il calcio, colpevoli di aver creduto ad un sogno tanto forte da averli resi eroi ad un prezzo troppo caro.
E allora, mi verrebbe da dire: andate a chiederlo ai familiari delle vittime; alle mogli, alle madri, ai figli, alle sorelle o ai cugini di chi era su quell’aereo, chiedete a loro quanto scialbo e incolore sia il calcio. Chiedete a loro come si sono sentiti quando hanno appreso la notizia che le vite dei loro cari sono state spezzate nel tentativo di inseguire un sogno, una passione, una dedizione diventati mestiere, il mestiere dell’inseguire un pallone conquistato con sudore, sacrificio, voglia di rivalsa, di mettersi in gioco e addirittura di vincerlo quel gioco diventato per ognuno di loro salvezza e poi condanna. Chiedete a loro quanto hanno sudato per raggiungere quell’obiettivo, oggi, tristemente spezzato e infranto per colpa di chi, dall’alto della propria sapienza, legittimato dalla propria occupazione e istruzione e comodamente seduto dietro scrivanie, munito di giacche e cravatte ben annodate e stirate, il proprio lavoro non è stato in grado di compierlo e di adempiere a quei doveri da garantire. Doveri che sicuramente si imparano anche più semplicemente di quanto si impari a far gol; quegli stessi che, forse, additavano il calcio come qualcosa di inutile e banale.
Egle Patané