Una premessa ad una partita di cui si sono sbagliate le misure preventive è d’obbligo quanto la vivisezione dell’accozzaglia di errori e sprechi che i nerazzurri hanno elargito al Camp Nou: se gli interisti – i tifosi – speravano in un risultato totalmente diverso, forse a sbagliar partita non sono tanto i giocatori, quanto loro. Il difetto di base della partita di ieri, conviene dirlo subito, è l’approccio alla partita stessa: dei giocatori quanto dei tifosi.
Se i sogni e le speranze nerazzurri fossero davvero quelle di andare a far risultato – positivo – a Barcellona, forse, ad essere inadatti sono proprio coloro che le hanno nutrite tali speranza. Il tutto non di certo perché, per dirla alla D’Amico maniera, Spalletti abbia una rosa di “poverini” quanto perché di fronte c’era un Barcellona orfano sì di Lionel Messi, ma con Suarez, Coutinho e Rafinha davanti, Busquets, Arthur e Rakitic a centrocampo; Sergi Roberto, Pique, Lenglet e Alba in difesa e ter Stegen tra i pali che, oltre ad essere tra i migliori nel suo ruolo, è un giocatore aggiunto alla rosa di Valverde.
A complicare le cose, le statistiche di un Barca che non esce dalla Champions prima dei quarti di finale da almeno 11 anni, al cospetto di un’Inter tornata in corsa da meno di un mese dopo un’assenza lunga più di 6; senza contare delle statistiche riguardanti l’inespugnabile Camp Nou che non ha visto trionfare i nerazzurri neppure l’anno in cui si laurearono i padroni indiscussi d’Europa. Dimostrazione di quanto fosse complessa e complicata la pretesa d’impresa in territorio catalano.
L’adrenalina e la felicità di essere davanti a quella magnificente “més que un club” e di calcare uno campo simbolo di una competizione che era mancata come un gol di Icardi ieri sera, ha fatto perdere lucidità e raziocinio a molti.
Un ottimo Handanovic in una serata imperfetta
Uno dei pochi a conservare lucidità è Samir Handanovic ma non bastano né lo sloveno, perfettamente in partita, e nemmeno Milan Skriniar, bombardato dai più per degli errori che, visto il contesto, potrebbero essere considerati meno aberranti di quanto vogliano farli passare. Prima Rafinha, poi Jordi Alba sanciscono una superiorità indiscussa di cui solo gli sconsiderati riescono a farsi specie e di cui proprio Skriniar, primo sulla lista degli inquirenti, ha relativamente la colpa. Finisce 2-0 al Camp Nou e la qualificazione non è ancora una certezza malgrado i nerazzurri restano secondi, dietro proprio ai blaugrana.
È la serata sì di Samir Handanovic, ma neanche troppo, non fino in fondo almeno, tantomeno in toto che ha tenuto a galla i suoi finché ha potuto ma non meritevolmente più di altri. Skriniar, per l’appunto, malgrado le già citate dosi di colpevolezza su entrambi i gol, ha imbastito una partita che meglio difficilmente avrebbe potuto considerate le assenze che, al contrario, lo avrebbero aiutato nel far girare meglio la palla e la partita.
Rafinha, l’amico che non avresti mai voluto contro
A tradire quei due, (Skriniar e Handanovic, ndr) proprio l’amico, quello che non avresti mai voluto contro, non così presto almeno. Uno che in quel di Milano ci ha lasciato un pezzo di cuore e che della presenza nerzzurra al Camp Nou di ieri sera è parte in causa – o meglio in merito-. Tanto amico da condividere la borraccia persino dopo il gol insaccato e che dopo quel gol sorrideva senza esultare, celando un velo di malinconica felicità.
Ma il calcio è tale: beffardo, cinico e ingiusto a momenti. Ingiusto non sempre, non nella partita di ieri almeno.
Quel gol, a dirla tutta, ha fatto un po’ sorridere persino quei nerazzurri che popolavano quella fetta di spalti riservata agli ospiti, sì perché quella zampata di Alcantara ha inevitabilmente inorgoglito persino l’uomo dal testone lucido che per tutti e 90 minuti scuoteva il capo a mo’ di dissenso. Arrivato a Milano per la lungimiranza e il coraggio di Ausilio che aveva ben visto sulle qualità di un centrocampista che tra le file catalane non godeva di fama, né di fiducia tantomeno di splendida forma, ha ritrovato all’Inter tutte quelle qualità che in molti avevano creduto non fosse più in grado di esprimere. La rinascita ritrovata in quel Appiano a corte di Spalletti non è passata inosservata alla società blaugrana che per lasciarlo ha alzato la posta, posta che l’Inter non poteva permettersi, non in quel preciso momento storico in cui Ausilio and co avevano da far quadrare troppi conti e altrettante strategie ritenendo, forse a torto, quella di Rafinha una partita da poter perdere.
“Spalletti è un grande allenatore ma penso che non mi abbia voluto tenere: l’Inter resta nel mio cuore, credevo di restare, ma alla fine hanno scelto altri giocatori”
Mai nascosta la delusione del classe ’93 che, come già detto, a Milano avrebbe voluto piantar le tende, quella di ieri è stata la rivincita che l’Inter ormai da tradizione è rassegnata a subire: il gol dell’ex che puntualmente arriva e che puntualmente suona a mo’ di sbeffeggiamento di quel contratto riposto nella cartellina che talvolta diventa dei rimpianti.
Il gol di Rafinha però non è l’unica nota degna di attenzione in una partita che si è vestita interamente di abiti catalani e che ha lasciato davvero troppo poco spazio alle bandiere nerazzurre che sventolavano alte e fiere fuori dal templio del calcio.
Spalletti, quanta pressione…
Spalletti nel post partita, visibilmente rammaricato, ha avuto parecchio da ridire sull’atteggiamento tenuto dalla squadra e sull’approccio alla partita del primo tempo specialmente.
“Sono triste soprattutto perché volevo un approccio totalmente diverso nel primo tempo. Non siamo stati abbastanza coraggiosi da giocare la palla quando eravamo in possesso e abbiamo permesso al Barcellona di giocare come preferivano. Non si può venire qui per difendere e cercare di segnare su un contropiede; bisogna gestire meglio il possesso per ottenere qualcosa al Camp Nou”.
Tutto vero. Per dare brio e provare a fare la partita, all’Inter servivano palleggio – non a caso la scelta di Borja Valero che però non ha per niente concretizzato gli intenti di Spalletti – necessario a non farsi schiacciare in pressione e la reattività mentale e fisica degli esterni che sulle fasce avrebbero dovuto scongiurare l’inevitabile imbottigliamento a centrocampo che già il solo Busquets avrebbe – e ha – teso. La cattiveria che Spalletti si aspettava di vedere sulle fasce si è tramutata in docilità d’agnellino che Candreva sulla destra e Perisic a sinistra hanno assunto per tutto il tempo.
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A riguardar formazione e partita, alcuni errori di valutazione made by Spalletti sembrano palesi; certe scelte nell’undici titolare danno qualche nota di colpevolezza aggiunta proprio all’uomo sulla panchina: Candreva preferito a Politano è ingiustificabile persino tenendo conto del calendario, specie perché l’ex Sassuolo gode di un’età che non dovrebbe e non può ammettere l’alibi di stanchezza.
Con il cambio dei due e l’entrata in campo del numero 16 la partita è visibilmente cambiata con l’apporto di freschezza e coraggio mancata fino a inizio ripresa. Altrettanto discutibile è la scelta di mettere titolare D’Ambrosio preferito a Vrsaljko, scelta più clamorosa di Miranda al posto De Vrij. Tra i due difensori titolari ieri, quello ad aver sofferto di più è l’italiano che ha sprecato tantissime delle sue energie dietro la mina vagante chiamata Cou, spreco tremendamente pagato con l’offuscamento di idee che lo hanno più volte trainato nell’incertezza da ‘pischello’ quando con palla al piede ha dato più volte modo dimostrazione di essere troppo timoroso per apparire adatto alla partita.
L’assenza di Nainggolan ha pesato parecchio, sulla mentalità soprattutto: a mancare proprio grinta e leadership che uno dalla caratura del Ninja riesce a trasmettere in momenti di sudditanza psicologica laddove bisognava evitarla.
“Mi aspettavo lo stesso atteggiamento anche oggi, perché lo sappiamo fare, invece non siamo stati coraggiosi nel girare palle, nel pulirla. E loro hanno interpretato bene questo nostro atteggiamento”.
Ed è proprio lì in zona Nainggolan che manca qualcosa, specie perché Perisic sembra il parente lontano di quello visto in Russia e la fascia sinistra ha registrato un’assenza di segnale parecchio determinante, pochi cross a servizio di Mauro che non ha potuto brillare quanto avrebbe – e avremmo – voluto. Incursioni più o meno impossibili, con un Piqué che non si smentisce mai, non mollando di un solo centimetro il capitano nerazzurro e un Borja Valero confuso e spaesato che non ha mai destato preoccupazioni alla compagine avversaria.
A mettere le pezze Marcelo Brozovic lontano dallo splendere come suo solito fare ma che pur sprecando e sbagliando parecchio riesce a rendersi epico pure in una serata in cui di epico non c’è molto. Sulla punizione di Suarez intuisce con perfetto tempismo la direzione della palla sdraiandosi praticamente sul suolo, lì sotto la barriera a respingere una palla che altrimenti avrebbe insidiato Handanovic, dopo aver beffato la difesa nerazzurra che salta lasciando sfilare il pallone rasoterra dritto sulla schiena di quel buffo 77 che si lascia andare nella mossa del coccodrillo (così come l’ha definita).
Anche per il croato, regista indiscusso della manovra nerazzurra di questo inizio stagione, il giropalla blaugrana a centrocampo ha generato nervosismo e frustrazione sfociati in una lucidità trovata solo in parte nella ripresa quando con l’entrata di Politano e Keita si riesce ad alzare un po’ il baricentro e la manovra.
Non benissimo insomma ieri a Barcellona che con maggior serenità e minor pressione psicologica, avvertita pure e soprattutto dall’uomo di Certaldo, si sarebbe potuto fare meglio e non poco. Ma come Zhang Junior affermava nelle ore precedenti alla partita sono queste le partite che volevamo tornare a giocare e se Belzebù non è stato sconfitto, le stelle, arrivati al Bernabeu, si sono comunque schiarite tutte.
Se c’è una battaglia che fa perdere la guerra quella battaglia non era e non è di certo quella di ieri al Camp Nou e proprio da quell’immenso stadio dai brividi facili, i ragazzi di Spalletti escono sconfitti sì, ma non distrutti. Se non distrugge, fortifica e l’Inter ne è uscita di certo fortificata.
Egle Patanè
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