C’era una volta… Il “mio” Diego

Il ricordo personale di Diego Armando Maradona

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C’era una volta una bambina che nel 1984 aveva 5 anni. Era discola, chiacchierona, sempre sorridente e sapeva stare bene con tutti.

Giocava con le bambole e con i ritagli di stoffa della zia, maestra di taglio e cucito.

Aveva una bella famiglia, lei era la più piccola di casa, la più coccolata.
Il papà baffone buono, la mamma bersagliera, la nonna amorevole, lo zio che sapeva come si viveva.

Viveva non molto distante da Napoli e là era nata.

Suo papà tifava in maniera quasi folle per il Milan, gli zii erano juventini. Il resto della famiglia una grande insalata (Inter, Bologna, Atletico Leonzio…).

Alla bambina piaceva il calcio.

Durante i Mondiali del 1982, andava in giro con la bandierina dell’Italia cucita dalla zia a tifare per la Nazionale, in attesa che nascesse il suo fratellino.

Guardava il papà spanzarsi davanti alle partite del Milan; imparò quasi tutta la formazione rossonera a furia di seguire dalla radiolina le radiocronache.

Gli zii tentarono inutilmente di indirizzarla verso la maglia bianconera ma niente, se la filava poco quanto nulla.

Negli anni, le domeniche passavano tra Tutto il calcio minuto per minuto e 90° minuto, la bambina cresceva e col tempo imparò anche i nomi dei mitici radiocronisti della Rai.

Le piaceva il calcio ma non capiva cosa fosse il tifo.

Sentiva parlare di Coppa dei Campioni, Coppa Uefa, Coppa delle Coppe, Scudetto… Ma lei sentiva solo le partite, non tifava.

Poi venne il 1987.

In una domenica pomeriggio di primavera, dal suo balcone si affacciò perché aveva sentito un gran trambusto. Clacson, bandiere azzurre, trombette, fuochi d’artificio.

Che stava succedendo?

Una cosa nuova: il Napoli aveva vinto lo scudetto. Il primo scudetto. Anzi, glielo aveva fatto vincere Maradona.

Lei lo conosceva ma… Non era ancora tifosa.
E nemmeno in quell’occasione lo diventò. Ci sarebbero voluti altri due anni per la svolta, o poco meno.

Quella domenica sera scorrevano le immagini di Napoli – Milan (si, proprio il Milan di papà). La partita finì 3 – 0 per il Napoli e chissà cosa scattò nella testa di quella bambina, ma fatto sta che finalmente scoprì il tifo.
Ma non quello forse scontato e familiare per il Milan, bensì quello per il Napoli.

Le piaceva la città, l’aveva vista, vi era nata, e poi quell’azzurro là quanto era bello.

Ed era bello pure Maradona, che faceva le magie col pallone, che tre anni prima aveva giocato una partita e aveva preso in prestito niente meno che una mano dal Padreterno per segnare un gol alla perfida Albione.

Le piaceva, non conosceva la sua storia, l’avrebbe scoperta anni dopo, da autodidatta del tifo azzurro, unica partenopea in famiglia.

Addirittura pareva un gesto di ribellione verso le tradizioni paterne e parentali, mettersi a tifare una squadra di cui nessuno ti aveva mai parlato prima e diciamolo pure, era bella che snobbata.

Il Napoli vinse il secondo scudetto, la bambina era felice, anzi no, di più, era euforica. Aveva 10 anni ed era felice. Non poteva fare i caroselli come i grandi ma era felice. Aveva vinto pure lei. Tutto era azzurro.

La passione diventò amore.

Oi vita, oi vita mia… Oi core e chistu core…

Perché si ama col cuore, nun ce sta niente a fa, e na vita senz’ammore, che vita è?

Non le fu difficile amare Napoli, era nata là, sentiva forte il richiamo della terra.
Non le fu difficile amare il Napoli, il Napoli di Diego, quello magico, quello di cui imparò la formazione, anche se a tre anni, grazie alle tante “zie” che le gravitavano intorno, conosceva a memoria quella in cui c’erano Pellegrini, Castellini e Krol (un segno del destino, forse).

Poi venne il mondiale. Maradona giocava con la sua nazionale a Napoli contro l’Italia… Napoli tifava Maradona e non l’Italia. Meravigliosamente assurdo!

Diego… Lei lo visse solo un anno o poco più, poi lui andò via, in sordina.
Si sentivano cose brutte su di lui, se ne dicevano troppe…

La bambina crebbe e diventò prima una ragazza e poi una donna.

Tifava in solitudine, cercava la storia della sua squadra, le origini, il perché avesse come simbolo il “ciuccio” (l’asino), percepiva in tv, dalle interviste ai tifosi in giro per la città, tutta l’emozione che si provava quando si nominava LUI.

Ma Diego non c’era più… Era andato via da quella città che aveva difeso, riscattato, portato in trionfo, consegnato alla storia, ridato dignità…

Diego capopopolo, trascinatore, generoso, folle, geniale, magico, eccessivo, estremo, invincibile, temuto, supereroe, Re, Dio o D10S.

Ad ognuno il proprio Diego, a lei il suo.
Ieri come oggi, come sempre… A 41 anni, crede, CREDO in un solo D10S!

 

Simona Cannaò