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C’è chi si domanda:”Che ci fa il Frosinone in Serie A?” e chi si chiede se sia giusto pensare al calcio solo in termini di fatturato

Adl attacca, Stirpe -stizzito- risponde: polemica tra il presidente del Napoli e quello del Frosinone. Nelle affermazioni di De Laurentiis c'è qualcosa che, a nostro avviso, stona

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In settimana, il Presidente del Napoli ha fatto discutere per un’intervista rilasciata al New York Times nella quale ha parlato anche di calcio esponendo la sua riguardo alcune realtà piccole, a suo dire, troppo poco strutturate e senza appeal:

“Che ci fa il Frosinone in Serie A?
Club come il Frosinone non attirano fan, né interessi, né emittenti nel campionato.
Arrivano, non cercano di competere e tornano indietro.
Se non possono competere, se finiscono per ultimi, dovrebbero pagare una multa.
Non dovrebbero ricevere denaro per il fallimento.
La promozione e la retrocessione sono la più grande idiozia nel calcio”.

Il Pesidente del Napoli Aurelio De Laurentiis (immagine: getty)

Parole che non hanno lasciato indifferente il Presidente del Frosinone e che hanno aperto un dibattitto sulla questione “provinciali” e ancor di più hanno posto attenzione su un’idea di calcio sempre più governato dal Dio Denaro.

Stirpe si sente mancato di rispetto e pone l’accento su alcuni valori che, a suo parere, sono venuti meno:

Nella vita ancora prima che nel calcio serve rispetto e io qua non ne vedo: invece bisognerebbe averne sempre per gli avversari,
lo sport deve insegnare questi valori…” 

E ancora sottolinea:

“Abbiamo il progetto di crescere in modo sano e attraverso i nostri mezzi. Noi mettiamo i soldi nel calcio e non li prendiamo, siamo stati capaci di realizzare uno stadio mentre altri che hanno risorse ben più importanti delle nostre non hanno regalato alla città un’infrastruttura del genere”.

Secondo il Patron ciociaro “…le uniche modifiche che il calcio italiano deve fare sono quelle che devono prendere come punto di riferimento il calcio inglese, tedesco o francese: lì non ci sono differenze, lì tutti possono vincere i campionati. I risultati? Sono sotto gli occhi di tutti: in Italia da 7 anni vince sempre la stessa squadra. In passato diedero alla Serie b il 7,5% un totale di contributi con la Legge Melandri che però non hanno mai rispettato. Ridurre il numero di squadre? Non serve a nulla! Il campionato inglese funziona a 20 squadre. Mi fate ridere quando palate di competizione, non può essere così perchè una squadra prende 160 milioni e un’altra 28 ma quale competizione può esserci!…”

Sono deluso dalle parole di De Laurentiis perchè riduce tutto ai soldi.
Non prendo suggerimenti da chi non ha vinto nulla o meglio solo le coppe del nonno.
Posso dire che con le mie modeste risorse ho fatto lo stadio e se lui volesse bene ai napoletani farebbe uno stadio a Napoli.

Il patron ciociaro Massimo Stirpe (immagine Ilovepalermocalcio)

Un botta e riposta che vede Stirpe usare toni decisamente infastiditi ma che pone alla luce varie questioni.

Il calcio è solo business?

Ci sentiamo di ricordare che il calcio è passione non solo fatturati.
Il calcio è quello sport capace di farci sognare ed emozionare perchè non sempre sul campo vince il più forte (o il più ricco). Oltre alla componente economica entrano in gioco tutta una serie di fattori -quali sacrifici e sogni- che possono fare la differenza.

Esclusione o inclusione?

Il calcio è uno sport e in quanto tale dovrebbe essere aperto a tutti.  Una riforma che punti a escludere piuttosto che a includere non ci sembra il passo migliore per salvaguardare il calcio e i suoi valori.

ADL mal digerisce un campionato a 20 squadre ma c’è qualcosa che stona

In passato il Presidente partonepeo aveva già manifestato il suo scetticismo nei confronti della nostra Serie A affermando: “Se vogliamo che veramente la Serie A sia la Formula 1 del nostro calcio bisogna accontentare i grandi bacini di utenza, quelli che hanno bacini audiovisivi ampi. Con tutto il rispetto, ma se io prendo una squadra che dalla Serie D arriva in A ma come ci rimane?”.
Idee che dette da uno che ha riportato il proprio club dalla provincia della Serie C ai massimi palcoscenici europei e che in tempi recendi ha investito a Bari, stonano non poco.

Emerge un’idea di calco sempre più elitario, sempre più attento agli introti, molto meno ai valori;  una visione di calcio che mina il senso stesso della parola sport.

 

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