Carolina Morace, dopo aver lottato, da calciatrice, contro i pregiudizi sessisti,
fa coming out per aiutare chi ancora ha paura di
rivelare il proprio orientamento sessuale
“Papà, mi sposo”.
E lui: “Bene!”
“Sì, ma non con un uomo”.
“Va bene! Basta che tu sia felice. Conta questo”.
Conta essere felici, essere sè stessi assecondando il proprio istinto, i propri sentimenti e Carolina Morace è un esempio concreto di tutto ciò.
Una vita dedicata al calcio essendo una delle pioniere di una battaglia contro i pregiudizi.
Una carriera da calciatrice iniziata sul finire degli anni ’70, quando il calcio era -molto più di oggi- considerato uno sport esclusivamente maschile.
Amava il calcio e lo ha praticato e, con tenacia, ha scritto la storia di questo sport.
Ha vinto dodici scudetti, due Coppe Italia e una Supercoppa. Ha conquistato il titolo di capocannoniere per 11 volte consecutive.
Non solo gol e grinta (che gli è valsa il soprannome di Tigre perché le compagne di squadra dicevano che i suoi occhi erano come quelli di un killer quando giocava).
Carolina Morace è stata anche la prima donna ad allenare una squadra di calcio maschile.
Una determinazione che le è valsa anche il premio Golden Foot come leggenda del calcio.
Carolina non ha mai mollato, non si è mai arresa e ha seguito il suo cuore.
E il suo cuore l’ha seguito fino in fondo, sempre noncurante di cosa potessero pensare gli altri.
Così, dopo anni, in cui ha lottato per il calcio femminile, contro gli stereotipi di genere, rivela con naturalezza (come dovrebbe essere) di amare una donna.
Un coming out fatto a margine della presentazione del suo libro-confessione “Fuori dagli schemi”, scritto con la giornalista di Sky Sport Alessia Tarquinio e in uscita per Piemme il 13 ottobre e fatto a 56 anni perchè era il momento, si sentiva pronta.
“Credo che nella vita ci siano dei momenti in cui certe cose diventano naturali.
Forse prima non si è pronti.”
Perchè purtroppo esiste ancora troppa ignoranza e, nel mondo del calcio in particolare, ci sono ancora molti pregiudizi e molta omofobia.
“Credo che sia giusto farlo quando si è pronti,
quando si è sicuri di poter togliere la maschera e non rimetterla più.”
Perchè purtroppo viviamo in una società in cui si è giudicati per il proprio orientamento sessuale e ciò genera difficoltà nel rivelarsi per paura di non essere accolti dalla propria famiglia e di essere esposti a discriminazioni. Viviamo in una società in cui il coming out fa notizia, come se fosse importante conoscere cosa una persona fa nella propria intimità e verso chi si provano sentimenti.
“In Australia, come in molti altri Paesi del mondo, il fatto che due persone dello stesso sesso si amino non interessa a nessuno . Lei stessa, nei primi tempi della nostra storia, quando veniva in Italia, si meravigliava del peso che diamo a queste scelte”.
Nel rivelare la propria sessualità, per Carolina è stata fondamentale la moglie Nicola, conosciuta in Giappone durante un evento della Fifa.
“La chiamai con il secondo nome, Jane, mi sembrava più da donna – ha rivelato Morace – e lei, guardandomi intensamente, mi disse: Perché mi chiami Jane?”.
Da quel momento, dopo numerosi aerei presi per vedersi, hanno costruito pazientemente un amore solido che le ha viste dire il fatidico sì due volte.
“La proposta gliel’ho fatta nel giorno del mio quarantottesimo compleanno.
Avevo comprato gli anelli, avevo ripassato per ore la frase “vuoi sposarmi?”.
Sono una donna tradizionale, sì, anche in questo caso sono rimasta me stessa.
Ci siamo sposate una prima volta a Bristol e poi in Australia”.
La scelta di rivelare il suo amore è stata fatta per sè stessa ma anche per aiutare chi si nasconde e non trova il coraggio di raccontarsi e liberarsi di una maschera.
Emerge ancora in Carolina la volontà di abbattere il muro dei pregiudizi diventando ancora una volta un esempio.
Carolina è emblema di come il calcio e l’amore non abbiano sesso, basta semplicemente seguire il proprio cuore!
Caterina Autiero