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Carlitos Tévez, chiamatemi Mister

Carlitos Tevez ha esordito sulla panchina del Rosario. Un leader carismatico e molto amato come lui non dimentica mai i segreti del mestiere.

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Carlitos Tevez

Carlitos Tévez, l’uomo che ha trovato nel calcio il suo riscatto

Arriva un momento nella vita in cui si diventa troppo grandi per il pallone, ma non per il calcio. C’è chi ha dato tanto in campo ma sente che non può davvero finire così. La necessità diventa quella di esprimersi ancora, ma da un’altra prospettiva del terreno di gioco. E allora si ha l’opportunità di passare dall’altra parte della barricata, diventando allenatori. È ciò che sta capitando a tanti personaggi del nostro calcio, tra cui Carlitos Tévez.

Carlitos o l’Apache, com’è stato sempre soprannominato, è diventato da poco tempo allenatore del Rosario Central squadra della Primera Divisiòn Argentina, a poche settimane di distanza dal suo addio al calcio giocato. L’Argentina dove tutto è cominciato nelle giovanili del Boca Juniors. Prima o poi si torna sempre da dove si è partiti, l’importante è portare con se quelle radici durante tutto il percorso. Leggendo la biografia di Tévez, non si può rimanere indifferenti di fronte a quello che sin da piccolo gli è capitato.

Non era ancora nato quando suo padre biologico fu ucciso con un colpo di pistola, viene abbandonato dalla madre biologica a soli tre mesi, mentre a dieci l’acqua bollente di un bollitore gli cade accidentalmente sul volto. Ustioni di primo e secondo grado, due mesi di terapia intensiva. Porta ancora i segni. Un inizio simile non può che indurire la corazza anche di un bambino così piccolo, che magari non avrà memoria di tutto, ma dentro di sé porta un peso enorme. Il destino può togliere e dare tanto e al piccolo Carlitos ormai svuotato completamente, la vita ha lasciato però qualcosa di prezioso. Prima di tutto una seconda famiglia, ovvero i suoi zii materni che si sono sempre presi cura di lui e poi un dono grande che non si può comprare da nessuna parte perché proviene direttamente da Dio: il talento nel giocare a pallone.

Una forma di riscatto per l’Apache che ha sempre giocato con grinta e sangue agli occhi. Con un passato simile non si ha paura di nulla e il campo diventa un luogo di rivalsa dove poter colmare vuoti infiniti. E che rivalsa! La carriera di Carlitos Tévez e il suo Palmarès parlano da soli. Attaccante potente e abile nel dribbling, grazie alla sua ottima tenuta fisica è in grado di agire bene anche in fase di non possesso.

L’enorme fiuto per il gol l’ha portato ad essere sempre un elemento pericoloso in area di rigore, nonostante non disdegnasse anche il tiro da fuori. L’argentino nel corso della sua carriera ha militato in club importantissimi del calibro del West Ham, Manchester United, Manchester City, Juventus per poi tornare al Boca. Con la maglia dei Red Devils vince due Premier League ed una Champions League. 14 gol in 34 presenze è il bottino finale della sua prima stagione con i diavoli rossi.

Successivamente passa ai rivali del City, siglando reti importantissime e vincendo il suo terzo titolo da campione d’Inghilterra. È con i Citizens che però emerge il suo carattere tutt’altro che semplice che gli vale l’appellativo di “Bad Boy”. Appellativo che sembra svanire in seguito al suo trasferimento a Torino con la Juventus, guidata da Antonio Conte prima e da Massimiliano Allegri poi. Qui Tévez appare cresciuto, più maturo tanto da essere considerato nell’ambiente come un vero leader. Di certo la maglia numero 10 ha giocato sicuramente un ruolo importante in questa metamorfosi.

Il nuovo Apache si presenta in Italia segnando reti pesantissime come quella che consegnò alla Juve il derby contro il Torino, oppure quella che siglò il 2-0 nell’eterna sfida contro il Milan. Con i bianconeri vince il suo primo titolo di Campione d’Italia e la Supercoppa Italiana contro la Lazio. Con la maglia Albiceleste, conquista l’oro ai giochi di Atene nel 2004 affermandosi anche come capocannoniere del torneo con 8 reti in sei partite, tra cui quella decisiva contro il Paraguay. Successo che gli permette di vincere il titolo di miglior giocatore sudamericano. Guidato in panchina dal grande Diego Armando Maradona, prende parte ai Mondiali del 2010 in Sudafrica.

Recente il suo addio al calcio “Ho smesso di giocare perché ho perso il mio più grande tifoso” così dichiara Carlitos riferendosi a suo padre adottivo scomparso lo scorso anno. Colui che lo ha sempre seguito sin da piccolo, dagli allenamenti alle partite e che siamo certi starà ancora tifando per lui in questa nuova avventura. Tanti i messaggi di auguri arrivati a Tévez da Pirlo, Chiellini, De Rossi e Antonio Conte, modello a cui l’argentino si ispira. Esordio con sconfitta quello sulla panchina del suo Rosario, ma una cosa è certa, un leader carismatico e molto amato come lui, non dimentica mai i segreti del mestiere.

Elisa Licciardi

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