Calcio femminile, sì al professionismo ma guai a considerarlo un traguardo

Dal 1° luglio le calciatrici di Serie A diventeranno professioniste

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A morning spent watchng my friend Kevin coaching the State College High School soccer team (The Littler Lions)

26 aprile 2022, la notizia del giorno riguarda il calcio femminile italiano che dal 1° luglio apre al professionismo.

“Il processo per il calcio femminile è definitivo, finalmente ci sono le norme che disciplinano l’attività e l’esercizio del professionismo del calcio femminile, è una giornata importante, dal 1° luglio inizia il percorso. Oggi siamo la prima federazione in Italia ad avviare ed attuare questo importante percorso…”. 

Questo il commento del Presidente FIGC Gabriele Gravina che ha aggiunto:

“C’è stata qualche piccola resistenza della Lega di A che riteneva di proporre un eventuale rinvio ma poi abbiamo raggiunto un accordo perché non si poteva tornare indietro.
Quando si delibera qualcosa bisogna essere coerenti…”.

Già perchè, per arrivare a questo evento epocale, il percorso è stato in salita fino all’ultimo.
Basti pensare a ciò che è accaduto nel Consiglio federale al momento dei voti.

Mentre all’unanimità tutti i club del dipartimento femminile avevano votato favorevolmente, i consiglieri della Serie A (Lotito, Marotta e Casini) hanno sorprendentemente votato contro.

Dopo una lunga discussione, si è optato per rivotare evitando il rinvio di tutto, e solo così si è giunti finalmente alla svolta.

Un evento celebrato da varie testate (sportive e non), dagli addetti ai lavori, da molti volti noti (dalla politica allo spettacolo).

Dopo tanti anni e tanto parlare è arrivato quindi l’atto formale che garantirà alle calciatrici di Serie A il diritto a un contratto con compensi adeguati, il versamento dei contributi previdenziali e le varie tutele assicurative.

Sbagliato però parlare di traguardo raggiunto, pur riconoscendo la grande importanza di tale apertura.

Partiamo con il sottolineare come il professionismo riguerderà solo le calciatrici che militano in massima serie. Le altre continuaranno a essere dilettanti che, nella migliore delle ipotesi, riceveranno rimborsi spesa e comunque non avranno alcun tipo di tutela.

Stessa cosa dicasi per le atlete di altre discipline.
Pallavoliste, cestiste, sciatrici, nuotatrici, pallamaniste, nonostante dedichino la loro vita allo sport, continueranno a essere dilettanti.

“Oggi è un bel giorno per il calcio italiano: dalla nascita della Federalcio, nel lontano 1898, mai una donna aveva avuto accesso al professionismo, mai. Ma oggi con un annuncio giustamente roboante, sappiamo che alle calciatrici sarà finalmente riconosciuto il diritto sacrosanto e sancito dalla Costituzione di essere professioniste come possono esserlo gli uomini. La notizia è una cosa buona per il calcio italiano e per le calciatrici  […] purtroppo questo successo per il calcio italiano e per le calciatrici non sarà una vittoria per lo Sport italiano, perché nelle altre discipline sportive tutto resterà come prima.  […] Lo sport italiano non ha aperto il professionismo alle donne, lo ha fatto solo il calcio, e il risultato, piaccia o no, è che ora avremo anche “figlie e figliastre”, cioè chi godrà di diritti e tutele e chi, pur facendo lo stesso lavoro, questi diritti non li avrà. “.

Lo dichiara la presidente di Assist (Associazione Nazionale Atlete), Luisa Rizzitelli, che invita le altre 44 federazioni sportive a fare lo stesso passo fatto -non senza troppi indugi-  dalla Figc:

“Quello che ha fatto la Federcalcio lo poteva già fare da prima della riforma (sorge il dubbio che a rimuovere le tante resistenze siano stati i milioni di euro della collettività messi a disposizione dallo Stato per sostenere proprio l’emersione del professionismo femminile e che ora, questi milioni, verosimilmente saranno usati soprattutto dai Club del calcio maschile più ricchi e che hanno finalmente ottime squadre femminili…). Comunque sia, ci si è arrivati nel calcio: dopo 124 anni, ma ci siamo arrivati”.

Meglio tardi che mai, certo, ma che sia un punto di partenza perchè la parità dei sessi in ambito sportivo (e non solo) è lontana e i toni trionfalistici derivanti dallo status di professionte “concesso” alle claciatrici, sottolineano l’esistenza di un problema sociale che non si può e non si deve ignorare.

 

Caterina Autiero