Esattamente un anno fa le Azzurre perdevano contro l’Olanda e salutavano una competizione che le aveva viste autentiche protagoniste…
Hanno brillato fino ai quarti benchè, tra le otto squadre più forti del mondo ai Mondiali di Francia, l’Italia fosse l’unico paese a non riconoscere alle sue calciatrici lo status da professioniste.
Con convinzione, qualità, passione e dedizione, le Ragazze mondiali sono riuscite nella difficile impresa di smuovere un paese conquistandosi attenzione e rispetto e mettendo in luce una discriminazione sessista che è radicata nel nostro Stivale.
Le atlete italiane, infatti, non hanno le stesse tutele dei colleghi in quanto, per legge, sono dilettanti.
In questo anno, da più parti, si sono sprecate tante belle parole e dichiarazioni in controtendenza a sostegno del professionismo negli sport femminili.
In questo arco temporale, lo scorso dicembre, il Senato, nell’ultima legge di bilancio, ha inserito un emendamento per incentivare, mediante sgravi contributivi, il passaggio al professionismo femminile da parte di alcune federazioni sportive (tra cui il calcio).
Calciatrici professioniste? Bene ma non benissimo: è presto per cantare vittoria!
La positività e i passi avanti hanno poi subito una brusca frenata a causa dell’emergenza sanitaria che ha evidenziato tutte le fragilità del movimento.
Ma le donne italiane -in questo caso le calciatrici- ormai abituate a fare i conti con le discriminazioni e a lottare per essere prese in considerazione, ancora una volta non si sono arrese e hanno urlato il loro disappunto invitando “il sesso forte” a smettere di parlare e ad agire.
E, così, quasi inaspettatamente, il Ministro per lo sport, Vincenzo Spadafora, in un intervista rilasciata al Tg3, ha manifestato la volontà di accelerare l’iter legislativo per raggiungere l’agonato status.
“Il presidente Gravina sta facendo un ottimo lavoro sul calcio femminile e io tra l’altro sto già lavorando a una richiesta importante: nella riforma dello sport, che sicuramente porteremo in approvazione entro l’estate, dobbiamo prevedere anche il professionismo femminile”
A Spadafora fa eco la Figc che, nel Consiglio Federale dello scorso 25 giugno, ha deciso che dalla stagione 2022-2023 la Serie A femminile sarà professionistica.
Il Consiglio della Federcalcio ha infatti condiviso all’unanimità la proposta di Gravina.
“Questa prospettiva – si legge nel comunicato della Figc – è stata ritenuta la migliore per formalizzare un passaggio divenuto ormai improcrastinabile sul tema della pari dignità, garantendo al tempo stesso un periodo adeguato per preparare il sistema, in attesa dei decreti attuativi anche su questo argomento che sta preparando il Ministro per lo Sport Spadafora nell’ambito della discussione della legge delega di riforma”.
Da oggi fino alla “data X” della svolta epocale occorrerà gettare basi solide affinchè le lacune del sistema siano superate.
Bisogna investire sugli impianti e sostenere le società che devono farsi carico delle difficoltà economiche e organizzative.
E’ importante, difatti, tener conto che il professionismo comporterà un aumento dei costi e del mantenimento delle società stesse. Il processo dovrà fare in modo che sia le calciatrici che le società possano godere delle giuste salvaguardie.
“La decisione presa dal Consiglio Federale è ispirata da un forte senso di responsabilità accompagnato da una certa lungimiranza – ha sottolineato il presidente Gravina dopo la votazione – scriveremo tutti insieme il progetto per rendere sostenibile il percorso tracciato oggi, per aumentare la competitività del calcio femminile di vertice ma anche facendo crescere inevitabilmente la base”.
Si tratta di un percorso che servirà a dare alle calciatrici che si impegnano come professioniste le giuste tutele giuridiche e di welfare (parliamo di donne che dovrebbero avere diritto a maternità, assicurazioni e piani pensionistici).
Si tratta di uno step che non può prescindere dal miglioramento degli impianti di gioco e alla dotazione di strutture medico-sanitarie all’altezza.
Ma non solo.
Il professionismo dovrà investire anche tutto il comparto di chi lavora nel calcio femminile e, assolutamente non meno rilevante, dovrà veicolare investimenti in politiche di promozione del movimento.
Per tutte queste ragioni si evince che in questi due anni sarà assolutamente vietato tergiversare.
Da troppo tempo il movimento calcistico femminile, in Italia, viene snobbato e lotta contro i pregiudizi e per ottenere riconoscibilità.
Da troppo tempo le calciatrici italiane si devono scontrare con una società che culturalmente ha sempre ritenuto il calcio una disiplina solo per uomini.
Un pensiero che, evidentemente, era radicato anche nelle stanze della politica italiana la quale non ha mai affrontato costruttivamente la questione.
Da qualche anno però, grazie all’amore per questo sport e alla forza d’animo, le calciatrici italiane hanno scalfito il pensiero maschilista e dopo innumerevoli sacrifici, il professionismo raggiunto dai movimenti calcistici femminili di quasi tutta Europa, nel nostro paese non sembra più un miraggio.
In attesa dei decreti attuativi del Ministro per lo Sport…
Sperando che sia davvero la volta buona!
Caterina Autiero