Juventus-Inter: basterebbe già per rendere l’idea e, perderci in ogni tipo di spiegazione finirebbe con l’essere troppo lunga e quasi superflua: l’antagonismo calcistico italiano per antonomasia, non a caso ‘derby d’Italia‘. In pochi forse ricorderanno il vero atavismo dell’astio, in pochi ricorderanno il ’61 mentre in tantissimi ricorderanno Calciopoli e il 2006; Calciopoli poi, che è la parte del calcio contemporaneo che meno piace, agli interisti quanto agli juventini e per dirla da ‘millennial‘ potremmo definirla in breve come ‘ladri’ contro ‘cartonati’e ad ognuno la propria visione del murooltre la quale molti si ostinano a non voler vedere. Sicché per un attimo usciamo dalle vesti che portiamo e lasciamo sia il campo a parlare e, non solo per onor di cronaca, parto col parlare della squadra di casa.
La Juventus ha sborsato la bellezza 117 mln di riscatto per il cartellino di Cristiano Ronaldo, senza contare tutti i costi totali, ben ammortizzati dalla crescita del brand ‘Juventus’. Non è certo assurdo né alieno pensare e ammettere che la società bianconera abbia fatto di lui la stella principale, e diciamola tutta, anche ad onor di logica. Quegli abbonamenti che a molti facevano male, hanno iniziato a dolere meno quel 3 luglio. Qualcuno può forse condannarli? Diciamoci la verità, a chi non piacerebbe o non sarebbe piaciuto avere Ronaldo in squadra? Se c’è però una differenza tra chi siede – o resta in piedi (e c’è differenza) – sugli spalti e chi siede in panchina – o resta in piedi (e anche in questo caso c’è differenza) – è il fatto che chi sta dalla parte della panchina vede (o così dovrebbe) ciò che dagli spalti sovviene più difficile cogliere o capire. Ne dovrebbe conseguire una scelta di priorità che tenga più conto del campo che del marketing (dovrebbe…).
Così oggi personalmente decido di discostarmi da social, spalti (curva o tribuna che sia) e soprattutto da panchine. E comodamente (ma tristemente) dal divano di casa, con tanto di ‘pausa, play e ancora pausa’, vi parlo di una Juventus che ieri sera di Cristiano Ronaldo ha soltanto sentito il nome, persino fastidiosamente troppe volte. Tra qualche giochetto con l’espressione marmorea scolpita in volto e un tentativo di far provare anche alla Juve il brivido di ‘segnare in rovesciata ai diretti rivali’ finito però tra i guantoni di un composto Handanovic, non ha particolarmente inciso in questo suo primo derby d’Italia e al contrario dell’affare di mercato più clamoroso degli ultimi anni, il più ‘silenziato’ Paulo Dybala mette la vibrazione laddove sembra essergli stata vietata la modalità volume alto.
L’argentino col diez sulle spalle sembra quasi essere chiuso dentro un’ampolla dalla quale non può però esimersi dal venir fuori, in un modo o nell’altro. E che sofferenza vederlo stroncato su una linea di campo troppo lontana dal suo vero habitat, lui dal fiato sopraffino così lontano dal suo tartufo, costretto ad immolarsi per lo splendore altrui.
In prosa o in versi, non cambia: il Tuttocampista ‘uccide’ la Joya
E per fortuna che c’è Mario Mandzukic a consolare quegli Juventini che ‘per CR7 venderei pure Dybala o Mandzukic’perché ieri sera quella Juve di cui Allegri si dice tanto soddisfatto da dire spocchiosamente di non aver concesso nulla all’Inter, deve ringraziare l’emozione di Gagliardini quanto la titubanza nel tridente lì davanti.
E allora, probabilmente Allegri qualcosina da riguardare ce l’avrebbe ma dissuaderlo non è semplice e la sostituzione di Pjanic all’89’ ne è la conferma e altrettanto difficile sembra convincerlo che sacrificare Dybala per CR7 non è detto che sia così fruttuoso, specie perché prima o poi u picciriddu crescerà e per continuare a farlo dovrà decidere se consegnarsi sull’altare degli agnellini o cercare di rafforzarsi zampe e dorso e fare il diez alfa che potrebbe essere se solo cambiasse branco.
Ma non vorrei essere troppo dissacrante, specie perché conto di far simpatia anche agli amici juventini che mi leggeranno, così da sembrare doveroso spendere qualche parola in più circa l’intoccabile CR7 per il cui bene si può rinunciare a coltivare il talento della Joya. E se in molti rimproverano al portoghese una prestazione lontana dalle sue corde, magari, andrebbe pure ogni tanto presa in considerazione l’idea che il superuomo che a Torino ha abbracciato lo Stadium– e non il cavallo – sia stato contenuto a dovere da un imponente Milan Skriniar e un Joao Miranda che ha scelto la serata giusta per non ammettere sbavature.
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L’Inter arriva a Torino dopo il pareggio all’Olimpico che, oltre al bel vedere dei 93 minuti, non ha restituito a pieno quella dose di reattività sufficiente e necessaria dopo la sconfitta di Londra che ha complicato, non solo la qualificazione in Champions in sé ma anche la partita di ieri sra, anche e soprattutto dal punto di vista tattico e di scelta degli interpreti. Spalletti inevitabilmente alle strette tra risparmiare qualcosa in vista di martedì e non sfigurare allo Stadium, quanto conservare qualche punticino in per la classifica, ha dovuto sorbirsi un bel dilemma ma come Icardi nelle ore precedenti alla gara aveva ammesso, andare a Torino puntando il pari sarebbe stato un errore.
E il pari non è mai rientrato nei piani di Spalletti che la partita l’ha preparata con tanto di zelo tenendo conto delle varianti di cui sopra. Zelo che però è andato scemando, come già capitato, nel corso della partita quando ad un imperfetto Politano da salvaguardare in ottica PSV fa subentrare Borja Valero, spostando in alto a destra il portoghese Joao Mario che fino a quel momento aveva occupato la posizione di mezz’ala sinistra.
In molti sono coloro che trovano nel cambio Politano-Borja la chiave di ‘svolta’ in negativo della partita nerazzurra che fino a quel momento era stata pure giocata alla paricontro un’avversaria che ad onor di logica e onestà ha motivo di osservare dall’alto le restanti 19. Superiorità che però non trova netta giustificazione sul campo, non nei primi 45 minuti quando a sprecare è più l’Inter che la Juventus e quando a chiudere è più brava l’Inter che la Juve.
Nelle occasioni da gol dei primi quarantacinque giri d’orologio infatti è Gagliardini che calcia male e colpisce il palo più che Szczęsny ad opporsi al contrario di quanto fatto dall’estremo difensore dell’altro lato del campo che ricorre attentamente al guantone sull’inzuccata di Chiellini. Lo stesso si può dire nel duetto messo in scena dai due Perisic-Icardi che due minuti dopo l’errore di Gagliardini si inceppano sul più bello a pochi metri dall’ancora una volta fortunato Szczęsny.
Cambia il registro nella ripresa durante la quale la Juventus scende in campo con un giro palla differente che chiude meglio gli spazi agli ospiti che iniziano a subire il dispendio di energie e calano il ritmo senza mai assopirsi davvero e su un assopimento (invece) di Matuidi, aggancia Politano che scarica su Icardi che, chiuso da un Chiellini monumentale per tutti i 90 minuti, fa da sponda ancora per il 16 nerazzurro che però perde qualche attimo e si lascia chiudere da Bonucci, sprecando l’ultima occasione individuale prima del cambio arrivato dieci minuti dopo.
Con l’ingresso di Borja, Spalletti – spiegai ai microfoni– avrebbe voluto incrementare qualità in mezzo con il palleggio di cui lo spagnolo è abile ma invano perché, al contrario, con Joao spostato in alto a destra al posto di Politano e Borja tra le linee, corroborato da uno spossato Gagliardini e un altrettanto lento Joao Mario, il risvolto concreto dell”intuizione spallettiana si è tristemente infranta tra gli scogli del rallentamento di manovra. L’Inter perde metri e anche palloni e non è un caso che il gol bianconero arrivi dalla destra di Handanovic con un Cancelo più libero di sfruttare l’accelerata che precede il cross.
Che brutto prender gol così
Il vero rammarico della partita di ieri non è tanto il palo centrato da Roberto Gagliardini, che avrebbe potuto trasformare la partita se solo non si fosse auto-temuto, quanto il gol preso come mai si dovrebbe, specie perché di mezzo c’è l’esperienza.Ad aggravare la posizione dell’imbambolato Asamoah che si perde il tempo e si lascia anticipare come un dilettante dall’irrefrenabile numero 17 che come al solito ci mette piedi, testa, e soprattutto cuore e grinta, il numero 1 dei nerazzurri.
Lo sloveno, che negli ultimi tempi sembrava essere dolce vittima di una rivitalizzazione da Europa, torna a cadere sul più bellomacchiandosi di un errore che tale non sarebbe se solo si fosse armato di un pizzico di intuito preventivo in più. Rimasto per una buona manciata di attimi sul primo palo, non ha mai staccato gli occhi di dosso all’ex compagno Cancelo – che tra l’altro conosce bene – restano ‘impalato’ sotto ogni punto di vista. Staccandosi dal primo palo solo dopo aver visto partire il cross, si è dispensato dal tentare un’uscita chesarebbe stata salvifica in caso di rinvio (con i pugni magari?), restando piuttosto a guardare l’anticipo del croato su Asamoah che supera pure lui e fa esplodere l’Allianz Stadium.
Spalletti prova a dare una sterzata al match e sostituisce prima Gagliardini con Keita e soltanto all’ultimo quarto d’ora inserisce Lautaro al posto di Joao Mario. E’ con l’ingresso dell’argentino che l’Inter ri-guadagna centimetri e brio e torna a riprendersi quanto concesso negli ultimi minuti alla Juve, torna ad impensierire Szczęsny ma senza preoccuparlo davvero e fallita la conclusione di Keita, spreca pure i successivi corner. L’uscita di Miralem Pjanic però – che fortunatamente per l’Inter arriva tardivamente – cambia gli scenari in mezzo al campo bianconero e la Juve riguadagna quel terreno perso con il bosniaco non proprio nella sua partita migliore. Intanto però il tempo scorre e in men che non si dica, malgrado Irrati sia costretto ad aggiungere qualche giro di orologio al già tempo addizionale, è triplice fischio. Finisce 1-0 all’Allianz e i punti sono solo appannaggio della squadra di casa.
Pareggio più giusto – dicono in molti – eppure (da interista) personalmente dissento con l’animo di chi il calcio lo ama nella sua più pura essenza e ad onor di luoghi comuni, nessuna massima, per quanto inflazionata, sia più vera di quella secondo la quale nel calcio vince chi segna.
Poco importa – almeno per gli interisti – se Mario Mandzukic o Cristiano Ronaldo sia andato in gol, quel che importa è che ad andare in gol sia stata la Juve e non l’Inter che al contrario ha sprecato occasioni che, avendo di fronte la squadra più forte del campionato e tra le migliori d’Europa, non può concedersi il lusso di dilapidare.
La mancanza di Nainggolan ha pesato più di quanto si sia notato a Roma e le scelte a partita in corso circa uomini e posizioni ha forse tolto qualcosa ad una partita che, se solo i due tecnici non fossero tanto ostinati, sarebbe potuta diventare una partita dallo spettacolo colato.
Alla luce delle conclusioni appena esposte si sarebbe potuto fare meglio e il rammarico di chi avrebbe voluto qualcosa in più da una prestazione che quel qualcosa in più avrebbe potuto farlo fruttare se solo non ci si fosse ‘leggermente persi’ nei meandri della filosofia, èpiù che lecito.
Ciononostante parlare di partita da dimenticare e dalla quale si prevede uno spegnimento ‘delle speranze nerazzurre’ sovviene disonesto e ingiusto per due motivi: primo fra tutti perché l’obiettivo nerazzurro è tutto fuorché essere l”Anti-Juve’ (così definita da terzi ma mai dagli interisti), secondo ma non meno importante perché scegliere se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto sta a chi pretende dai giocatori una reazione che dai divani però sembra morire ancor prima di cominciare.
Juve-Inter è già passato e qui in realtà, per dirla alla Luciano maniera, si sta già pensando a martedì laddove il bicchiere dovrà essere mezzo pieno per tutti.
Egle Patanè