Antonio Cassano: tra genio e sregolatezza

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Era il 12 luglio 1982, il giorno più azzurro che mai, il giorno della giovialità collettiva, dei sorrisi, dell’incredulità, delle edicole dalle “Gazzette dello Sport” sold out, il giorno del nazionalismo esasperato (perché si sà è così che funziona, ci sentiamo tutti un po’ più fratelli d’Italia in quelle circostanze); era il giorno di Paolo Rossi, Tardelli, Altobelli e Dino Zoff: il primo, il secondo, il terzo gol e infine le braccia alzate al cielo con una coppa tutta da stringere e da gustare. Festeggiavano gli italiani, per le strade, sulle spiagge, nei parchi e nelle città affollate, calde e piene di entusiasmo, festeggiavano perché quel mondiale spagnolo era finito e nel miglior modo possibile, l’Italia era campione del mondo per la terza volta.

Mentre un’intera nazione festeggiava entusiasta come non mai, in una cocente Bari quel giorno qualunque nasceva un bambino qualunque; Cassano di cognome, Antonio di nome e all’epoca, in quel quartiere di San Nicola, quartiere popolare, quel nome non diceva proprio niente.
Il quartiere San Nicola non era un quartiere d’elite e agli inizi anni ottanta la playstation e gli ipad sarebbero stati impensabili anche se lo fosse stato, sicché i bambini giocavano ancora per strada e le mamme urlavano dalle finestre che molto spesso finivano in frantumi tra una pallonata e un’altra. Non è difficile intuire come si finiva a sognare di diventare un campione alla Beppe Bergomi o alla Zoff e il piccolo Antonio iniziò a fare del suo passatempo una ragione di vita. Come un suo conterraneo scrive in una lettera pubblica a lui indirizzata, trovata girovagando per il web, San Nicola era ed è un quartiere tinto di neroazzurro e Cassano cresce con il neroazzurro nel cuore e nella testa tanto da iniziare a giocare nella Pro Inter, società giovanile della periferia barese fucina di diversi piccoli calciatori diventati grandi.
Grazie alla Pro Inter Cassano inizia a farsi conoscere, facendo dei provini per diverse squadre tra cui la tanto idolatrata Inter ma, per questioni burocratiche legate alla residenza e all’età il tesseramento non avvenne e quando, nel 96, compì 14 anni, età sufficiente per poter essere tesserato, il neo presidente Massimo Moratti non apparve interessato. Poi provò al Parma ma anche in quel caso per problemi di residenza e di età l’affare sfumò e approdò al Bari U21; non trascorse molto tempo e a soli 17 anni esordì in Serie A in un derby contro il Lecce ma il bello deve ancora venire. Era il 18 dicembre 1999, seconda partita in Serie A, si scende in campo, di fronte Cassano si ritrova un avversaria mai stata tale, un sogno tanto vicino quanto amaro, infranto sul più bello quando il più bello sembrava possibile: Aveva di fronte l’Inter, quella vera, quella con Vieri e Zamorano in attacco, Zanetti in difesa, Baggio in panchina e Moratti sugli spalti, lo stesso Moratti da cui si era sentito dire quel no che tanto lo aveva amareggiato e al quale lui ha risposto con una benda sugli occhi al momento di calciare sperando che dopo quel dribbling la palla entrasse… e così fu. La palla scavalca Ferron entrando in porta e Antonio incredulo si perde nell’entusiasmo e rimedia la sua prima ammonizione per aver esultato fuori dal campo. Era il gol del 2-1 e la partita finisce così, l’Inter cade a Bari per opera di Antonio Cassano.
Alla fine del 2001 per 60 miliardi di lire il tesserino del Pibe di Bari Vecchia, come verrà definito, viene acquistato dalla Roma dove resterà fino al 2006 e con la quale vincerà la Supercoppa italiana. E’ con la Roma che Cassano dà il meglio di sè tanto da essere reclutato dai blancos ma, all’epoca ventitreenne dalla saggezza non all’altezza del talento, non sfrutta a pieno l’occasione e, come egli stesso ammette dopo qualche anno, approda a Madrid pensando a tutt’altro che al calcio perdendosi l’occasione di esplodere al meglio con la maglia del Real e maturare le potenzialità di cui godeva. Sebbene l’arrivo di Fabio Capello in quel di Madrid fu inizialmente salvifico per Fantantonio, influendo sul miglioramento delle condizioni fisiche e calcistiche al punto da un ritorno in Nazionale, Antonio fu considerato per molti l’erede di Baggio e da quest’ultimo ereditò, oltre la fantasia, l’indole alla polemica e agli screzi (in particolare con allenatori e presidenti) e, arrivata la lite con il commissario tecnico, la carriera a Madrid iniziò a tramontare inesorabilmente. Ad agosto 2007 passò ai blucerchiati, in prestito il primo anno e a titolo definitivo quello successivo. In maglia blucerchiata mette a segno 41 reti. Dribbling, sponde, assist, goal il tutto condito da una spettacolare sintonia quasi perfetta matematicamente con Giampaolo Pazzini, l’altra metà della mela di Antonio Cassano in quella coppia tra le più belle del calcio italiano e della storia della Samp al punto da rispolverare le memorie di quell’altra qualunque coppia blucerchiata nota ai più come Vialli-Mancini. Non mancava nulla tanto da raggiungere i preliminari di Champions: era l’ora del riscatto ma ad opporsi il Werder Brema e l’allora presidente della squadra genovese Riccardo Garrone con il quale Cassano entrò duramente in conflitto; lite che determinò il trasferimento a Milano ma ancora una volta non all’Inter. Il trasferimento al Milan e la maglia rossonera provocarono non poche indignazioni e critiche da parte degli amici di sempre e dei compaesani, i quali, affezionati neroazzurri come lui, non apprezzarono la cosa ritenendola una sorta di tradimento. Al Milan, però, Fantantonio deve molto; è grazie ai rossoneri che, dopo il malessere dovuto ad un problema cardiaco, riesce a superare brillantemente il provino più grande guarendo esemplarmente e tornando in campo dopo soli sei mesi.
E’ a calciomercato estivo quasi finito che finalmente corona il suo sogno, diventando ufficialmente un giocatore dell’F.C.Internazionale e potendo indossare la vera maglia nerazzurra che tanto aveva rincorso. La parentesi all’Inter dura poco, giusto una stagione, tra le più nere, satolla di alti e bassi sebbene un inizio stagione pieno di speranze decadute, però, con un disfacimento lento e doloroso. Alla fine della stagione passa al Parma e ci resta fino al 2015 quando ritorna in blucerchiato.
Tornare in blucerchiato è stato un ritorno a casa che lasciava ben auspicare a lui e ai tifosi; come più volte ribadito Genova è una città alla quale è inesorabilmente legato e dalla quale difficilmente riuscirebbe a separarsi motivo per cui, dopo la decisione da parte del presidente Ferrero di escluderlo dalla rosa poiché non più conforme alle esigenze del club, era riuscito a stipulare un accordo secondo il quale avrebbe potuto continuare ad allenarsi a Bogliasco insieme i ragazzi della primavera rifiutando ogni offerta propostagli. L’accordo prevedeva però una scadenza, fissata per il 28 febbraio e, allo scoccare del suddetto giorno, i dirigenti pare abbiano messo Fantantonio alle porte e in modo definitivo. Un addio fugace dettato dall’amarezza, una decisione affatto condivisa dal giocatore che, pur non trascendendo nei dettagli, non maschera il disappunto e il dispiacere. “Posso ancora dare tanto al calcio” Dice Cassano e noi, in qualche misura, ci crediamo.
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Sregolatezza, arroganza, talvolta irriverenza, bizzarria e follia lo hanno caratterizzato rendendolo celebre per quelle che passarono alla storia come “Cassanate” ma, Antonio Cassano da Bari non era di certo solo quello e se le Cassanate, appunto, hanno caratterizzato una peculiarità non indifferente del personaggio che è diventato, se e quando di lui si parla c’è ben altro di cui raccontare. C’è da raccontare di dribbling, assist, gol, giochetti, tunnel… c’è da raccontare di una classe, di una forza e di una tecnica che forse, senza l’ausilio delle immagini, difficilmente si riuscirebbe a spiegare e allora, forse, il folle barese dalle tante capate non è poi così in difetto quando dice di poter dare ancora molto al calcio giocato e soprattutto al calcio che conta e a noi, povere calciopatiche, non resta che augurarglielo.
Egle Patané