“Dico solo che si rende complicato ciò che è semplice. La semplicità è la cosa più complicata, ma si sta andando verso una direzione non corretta, perché complicare le cose rende ancora più difficile il lavoro. Racconto la mia esperienza di vita, da bambino fino a oggi, e la mia esperienza di calcio, da giocatore e da allenatore. Spero che sia d’aiuto, che serva a qualcuno, non solo nel calcio, ma anche a livello manageriale. Che sia di ispirazione”.
Così, in sintesi, Massimiliano Allegri intervistato oggi dal Corriere della Sera ha presentato “E’ molto semplice“, il suo primo libro in uscita il 9 aprile per le edizioni Sperling & Kupfer.
Un volume nel quale l’allenatore bianconero si addentra nelle regole del calcio, 32 per la precisione quelle da lui individuate, seguendo il rigoroso principio della semplicità come assoluto e senza perdere di vista il suo modo a volte scanzonato di porsi.
La semplicità di cui parla è, ad esempio, relativa al trasmettere i concetti alla squadra e su questo Allegri dichiara di essersi ispirato a Giovanni Galeone, per otto anni suo allenatore ai tempi in cui il mister juventino indossava gli scarpini.
Ma le fonti di ispirazione sono variegate e alcune forse inaspettate: “Ho imparato molto dai cavalli – ha precisato – perché è un mondo in cui ci sono similitudini con il calcio“.
Un calcio che secondo Allegri è fatto di “squadra cinica“ e “allenatore aziendalista“, un manager insomma che si preoccupa di portare a casa il risultato non solo a livello sportivo ma anche a livello di crescita dei giocatori che devono rimanere “pensanti”, non meccanizzati, non “polli da allevamento” per dirla alla Gaber; la filosofia allegriana è quella nella quale contano maggiormente i giocatori bravi che i moduli.
E Allegri sui suoi ragazzi in campo ha le idee chiare: innanzitutto dare loro quello che gli serve e non quello che vogliono; capire sino a dove possono arrivare senza pretendere che tutti possono fare le stesse cose: “Questa è prima di tutto una legge di vita“.
Su Cristiano Ronaldo, Allegri lo definisce un maestro, sempre sul pezzo anche quando sembra assente.
E nell’intervista non tralascia di accennare alla finale di Champions contro il Real Madrid parlando di un insuccesso dovuto al fatto di essere stati troppo focalizzati sulle certezze che fanno perdere il senso della realtà, soprattutto non fanno mettere a fuoco i punti di forza dell’avversario.
Da meditare, insomma.
Silvia Sanmory