Sarà una finale di Champions tutta inglese. Ancora una rimonta: il Tottenham compie un’impresa bestiale firmata Lucas Moura, batte l’Ajax e raggiunge il Liverpool a Madrid.
Un predominio spagnolo durato sei anni cede il passo al ritorno della regina. E’ tornata l’epoca inglese e saranno due squadre made UK ad andare a Madrid a giocarsi la 64esima finale della massima competizione europea. Non accadeva dal 2008 che una finale di Champions fosse giocata da due inglesi, lo stesso anno in cui un’altra inglese – il Chelsea – ci arrivava per la prima volta. Quella volta però il Chelsea ci arrivava per la prima volta in assoluto a differenza del Tottenham che in finale ci arrivò già nel 1962. Quando il torneo si chiamava ancora Coppa dei Campioni. Finale poi persa contro il Benfica.
Dopo il Liverpool, è il Tottenham a vincere la seconda semifinale di UCL diventando l’ottava squadra inglese a conquistare la possibilità di salire sul tetto d’Europa. E’ il Tottenham a coronare il sogno di scrivere la storia. E’ il Tottenham a versare le dolci lacrime della gioia che vale la storia.
Quella tra Liverpool e Barcellona è stata la partita dei ricorsi storici, di rivincite e rivalse. Del piccolo che supera il grande e della gioia di un successo agguantato dopo così tanta fatica da farlo sembrare quasi doveroso. Quella dell’altro ieri ad Anfield è stata un po’ la partita e la gioia di tutti. Perché a sperare che quel triplice fischio arrivasse puntuale come il sorriso di Klopp dopo le vittorie, eravamo davvero un po’ tutti. Se non altro anche solo per la bellezza di un pubblico davvero immenso e di una rivalsa che ha abbracciato persino chi con quei colori non si è mai identificato.
Alisson, Klopp…e la lezione del Liverpool: crederci, delle volte, è abbastanza
Ma la Champions non dà tempo di fermarsi a gustare quello che lei stessa ti regala e non ti dà neppure il tempo di pensare. Ed è subito Ajax-Tottenham. L’altra semifinale di ritorno. L’altra immensa partita che avrebbe scritto l’altro lato del tabellone. E allora no, non c’è tempo per pensare.
Una partita dal sapore inverso. Il coronamento di un sogno per il Tottenham, l’infrangersi di un favola per l’Ajax
Impossibile non gasarsi per quei piccoli lancieri che hanno ribaltato non solo il risultato ma la Juventus tutta allo Stadium. Impossibile non lasciarsi convincere da loro, per le modalità in cui sono riusciti a mettere a loro favore il risultato a Londra. E allora per i tifosi degli Spurs ma anche per chi vuole solo godere di buon calcio non c’è tempo di pensare e Anfield non è ancora il tempo di realizzarlo e di farne tesoro.
Non c’è tempo di considerare che le rimonte in questa edizione di UCL siano quasi diventate una costante, e neppure le statistiche di un Ajax che ad Amsterdam in questa Champions ha vinto e perso una sola partita, pareggiate tutte le altre. Un dato che avrebbe potuto destabilizzare gli animi, specie se comparato al percorso inverso del Tottenham che in trasferta ha perso praticamente solo contro l’Inter. Pochettino di fatto perde davvero solo a San Siro, la sconfitta per 4-3 all’Ethiad è comunque valso il passaggio del turno in semifinale e nessuna sconfitta è mai stata tanto suonata con toni di vittoria come quel giorno.
Alzatevi tutti e applaudite quei piccoli battaglieri caduti sì, ma da eroi
In pochi hanno pensato che la favola dei piccoli lancieri potesse finire così, a casa loro. Nel più beffardo dei modi e clamoroso dei modi. E in pochi erano quelli indifferenti al dissidio che sia cuore che mente ti ponevano davanti. Quelli a fare a pugni con se stessi, a metà tra il sostenere l’impresa dei piccoli biancorossi o il sogno degli impavidi inglesi. Entrambi con una causa troppo grande per poter essere svilita con la semplice e banale frase del ‘vinca il migliore‘.
E il calcio, allora, è questo qui. E’ una scienza esatta solo quando prevede l’inesattezza e l’imprevedibilità di calcolo. E finisce così con quei piccoli grandi ragazzi a terra inermi come caduti in battaglia. Con gli occhi pieni e gonfi delle stesse lacrime che rigano il viso agli Spurs. Solo con sentimenti inversi.
A poco serve persino la standing ovation di un pubblico che ci ha creduto tantissimo ma pur sempre meno di quelli in campo. Poco servono quegli applausi che assordano e zittiscono insieme come in ogni battaglia che si rispetti ad applaudire quei caduti, tramortiti sì ma da eroi. Eroi ma tramortiti. Inchiodati da sé stessi e da un maledetto palo.
Da Ziyech a Moura. Gol sbagliato, gol subito e le lacrime sono per entrambi seppur dal sapore inverso
Un ritmo incalzante quello che le due compagini imbastivano, una velocità che non lasciava il tempo di avanzare pretese, e lì dove l’unica pretesa era non concedere nulla all’altro, l’unico a pretendere più degli altri è l’ultimo ad aver mollato. Lucas Moura, il brasiliano di Sao Paulo che poco dopo la gara d’andata scriveva ‘I believe‘ e che di fatto has believed.
E’ l’80 quando Ziyech prende il palo destro che gli nega il gol che avrebbe messo al sicuro il bottino, ed è il 95′ quando Lucas Moura beffa tutti e su un passaggio di Dele Alli sferra il colpo finale che gli consegna la medaglia al valore di una battaglia combattuta fino all’ultimo respiro e battito. Battaglia di cui lui ne è indiscusso protagonista a prescindere da quel che sarà al Wanda Metropolitano. Il 27 Spurs ne segna tre. Il numero perfetto e perfetto è stato il risultato che ne è venuto fuori.
Manca pochissimo, il Tottenham ha a disposizione l’ultimissima spinta per provare a scrivere la storia e Dele Alli la serve, lui la imbuca. Senza sapere come, si guarda intorno incredulo e attonito. La finale è lì. Distante soli sessanta secondi.
Sembra quasi surreale, e magari lo è. Senza capire bene come, gli inglesi calciano una palla diventata troppo pesante in quel mezzo giro di orologio che improvvisamente, dallo scorrere troppo in fretta, sembra non finire mai. L’Ajax si impossessa di nuovo del pallone, come troppo volte durante tutta la serata, riparte in avanti, pressa e convulsa cerca delle soluzioni ma l’arbitro quasi con dispiacere dice che può bastare, fischia e estasi e frustrazione insieme prendono il sopravvento. Tutta l’Inghilterra piange sì ma di gioia. Proprio nel giorno in cui il principe Harry presenta al mondo la sua nuova stella, ad Amsterdam è il Tottenham ad imporsi come unica stella inglese del momento.
Una pagina di storia firmata Mauricio Pochettino
Una pagina storiografica siglata Pochettino che torna all’Amsterdam Arena, lì dove i ricordi sono parecchio importanti, lì dove la sua avventura nel calcio nazionale è cominciata. Ma le avventure di calcio non finiscono davvero mai. Pochettino che di avventure, da quel lontano esordio in maglia albiceleste contro l’Olanda, ne ha scritte e pure tante, lo sa bene. Ma Pochettino non è Klopp, e pur sapendo come rialzarsi non lo fa sempre, né subito. Meno spavaldo rispetto a quello che sarà il suo prossimo rivale, per Madrid era più lui a non crederci che i suoi.
Da una qualificazione incerta alla finale
Non ieri, prima di scendere in campo ma a inizio stagione, quando la qualificazione agli ottavi è rimasta in bilico su un filo di spine finito con l’essere lieve a loro che agli avversari. Quasi più per demerito altrui che per meriti propri. E allora quella sopravvivenza ridava vita ad un Mauricio Pochettino che vedeva partire l’annata con una serie di complicanze, tra cui infortuni determinanti.
Come non pensare quanto sia legittimo e doveroso per se stessi lasciarsi andare in un liberatorio pianto di sfogo? Come non lasciarsi contagiare dall’alma di quell’argentino rivelatosi umano più che mai? Come non perdonargli quell’improvviso atto di meravigliosa umanità che finisce per essere l’icona di un’impresa divina?
Sottovalutato e in sordina, Pochettino è il rivoluzionario silenzioso che ha scalato le gerarchie di se stesso prima di tutto. Mettendo in gioco tutto ciò che era possibile fare. Un all-in. Lui che i rischi sa di voler correrli, prendendosi il rischio di perdere la prima ma non l’ultima. L’ultima, almeno, prima di quella che potrebbe davvero consegnargli quell’immortalità che solo gli dei dell’albo dell’Olimpo raggiungono. A modo suo, però, l’argentino è già immortale. A modo suo e da umano. Con confusione ed emozioni spiazzanti.
L’audacia del Tottenham che ha fatto la differenza
Gli Spurs avevano perso in casa sotto i colpi di un Ajax che sembra averne un pizzichino in più, ma Pochettino, di scuola Bielsa, non demorde e seppur con una convinzione di facciata ma terribilmente terrorizzato di sbagliare ad un passo dal sogno va ad Amsterdam e gioca su quel dato – non sempre insignificante – che le statistiche offrono. E il barlume di speranza chiamato Madrid si chiama proprio Amsterdam Arena, lì dove i lancieri in Europa faticano più che altrove.
Ad aprire il match è l’Ajax che pare di averne di più per buoni tratti di un primo tempo durante il quale però il Tottenham ha piano piano preso coscienza di se stesso. Gli Spurs accrescono la consapevolezza di poterlo fare aggiungendo quel pizzico di audacia che ha fatto la differenza. Nonostante ciò, i padroni di casa nel frattempo raddoppiano. Alla ripresa è spettacolo puro.
La Champions delle rimonte e delle sfide clamorose
I cinquantadue minuti più avvincenti delle ultime ventiquattr’ore. Perché sì diciamoci la verità, era passato fin troppo poco da Liverpool-Barcellona per non credere che questa edizione di Champions sia stata una benedizione del calcio.
La più avvincente degli ultimi anni, quella senza blancos che ne sembravano i monopolizzatori. Lo United elimina il PSG al 94′ in rimonta, la Juventus sembra non avere armi contro l’Atletico di Simeone rivelatosi poi speculatore e parso persino piccolo piccolo allo Stadium davanti alla rimonta bianconera. Il Liverpool perde 3-0 al Camp Nou sotto i colpi di un Messi che sembra riprendersi quel palco sottrattogli per troppo tempo da Ronaldo salvo poi rispedire la pulce tra le lacrime. E poi il Tottenham di Pochettino.
Senza Kane, è possibile comunque
Senza Harry Kane, gelido in panchina con lo sguardo che carambola da una parte all’altra mentre sofferente vorrebbe essere lì in mezzo a carambolare con le gambe più che con lo sguardo. Spinge quasi col pensiero come tutti gli inglesi presenti ad Amsterdam e davanti ai televisori perché ieri con l’adrenalina a mille, con il cuore all’impazzata e con tanto di sogno e speranza che è l’ultima a morire, era il mondo intero.
Senza Kane ma con Llorente e Moura, il brasiliano che come promesso non ha smesso di crederci e che al contrario ha frantumato il vetro delle speranze ma solo per rendere il cristallo delle certezze.
Tutti giù per terra perché non c’è più tempo. A quella partita che nessuno mai avrebbe voluto scrivere la parola fine, persino il triplice fischio tarda ad arrivare, persino Brych prova a rimandare la fine di una partita che è un insieme di microcosmi infiniti e plurimi, ma no, non c’è più tempo.
Madrid è realtà. Comunque vada è già storia
Dopo cinquantasette anni il Tottenham conquista la finale, la prima volta da quando la competizione è diventata Champions League e raggiunge il Liverpool per l’appuntamento del 1 giugno 2019. E chissà allora come sarà quel giorno, chissà come finirà a Madrid. Oggi intanto è storia, è la storia dei piccoli diventati grandi. E’ la storia, ancora una volta, di chi non molla e di chi crede in se stessi prima di tutto. Sediamoci e godiamocelo. Perché ogni tanto il calcio sa essere una cosa meravigliosa.
Egle Patanè