“Adorata Marisa,
mi hanno rifiutato il mutuo, perché la BNL non vuole rilasciare un benestare per far ciò, anche se Anastasi s’è detto disposto a pagare la sua parte.
Mi sento chiuso in un buco, i fondi della Regione sono ancora fermi, per il credito sportivo il Comune non regolarizza le carte.
Il mio grande errore è stato quello di cercare di essere un indipendente da tutto, di non aver saputo dire di no su nulla alla mia famiglia, di aver acquistato quel terreno a Franco-Giovanni invece di cercare di andare a lavorare a Roma.
Non c’è una lira, passata dalle mie mani, che non sia stata usata per la nostra famiglia: palestra, mansarda, terreni; non c’è nessuna ombra nel mio rapporto con, nessun tradimento, ma solo situazioni male interpretate.
Ti adoro, e adoro i nostri splendidi ragazzi, ma non vedo l’uscita dal tunnel.”
Ecco la lettera con la quale 21 anni fa, oggi, Agostino Di Bartolomei, che tutti chiamavano affettuosamente “Ago” o “Diba”, aveva avuto intenzione di dire addio alla moglie Marisa De Santis prima di spararsi dritto al cuore.
Le sue ultime parole furono ritrovate proprio dalla moglie su un foglio strappato dentro la tasca di una giacca, ma non ci furono dubbi all’epoca sul significato di quei pezzetti di carta, pur se privi della sua firma.
Il capitano del secondo scudetto giallorosso Di Bartolomei è ricordato da tutti come un uomo schivo, silenzioso ma con grandi capacità tecniche e soprattutto una grande potenza che compensava ampiamente la sua scarsa velocità in campo.
Debuttò il 22 aprile del ’73 in prima squadra a soli 18 anni durante Inter-Roma, terminata 0-0. Segnò il suo primo gol durante la prima giornata di campionato della stagione ’73/’74 contro il Bologna. Dopo un anno di esperienza col Vicenza tornò a Roma sotto la guida di Liedholm che lo inquadrò da subito come regista davanti la difesa.
11 anni con la maglia giallorossa, fu un punto di riferimento per tutta la squadra divenendone capitano negli anni ’80. Nel 30 aprile ’84 perse la finale di Coppa dei Campioni in casa contro il Liverpool concludendo quell’anno la sua ultima stagione alla Roma.
Terminò la carriera da calciatore dopo aver militato nel Milan, nel Cesena ed infine nella Salernitana, ritirandosi poi con la sua famiglia a Castellabate in provincia di Salerno dove, esattamente 10 anni dopo l’amara sconfitta contro il Liverpool, si tolse la vita in quello che, almeno in apparenza, da subito, venne percepito, non senza qualche speranza, come un incidente mentre probabilmente cercava di pulire la Smith & Wesson della sua collezione.
Non passò molto tempo perchè la notizia dell’incidente si trasformasse nella terribile verità del suicidio.
Dalla infinite dichiarazioni seguite al fatto, è chiaro che “Ago” avesse tentato più e più volte, ed in innumerevoli modi, di rientrare, di farsi riaccettare da quel mondo che lo aveva innalzato alla gloria ed osannato per anni per poi dimenticarlo in un angolo buio senza troppi preamboli. Lui che della strategia in campo aveva fatto la sua qualità di punta, assieme all’incredibile potenza, lui che sperava di poter sfruttare le sue competenze dalla panchina, non capiva l’ostinazione con la quale il calcio lo aveva messo da parte.
Per molto tempo si è cercata un’altra spiegazione che giustificasse il gesto estremo, che non fosse solo dovuto all’allontanamento dal mondo del pallone, perchè la verità sarebbe stata, ed è ancora oggi, molto più difficile da accettare.
Valentina De Santis