Un cordoglio corale, senza distinzione di colori, quello suscitato dalla scomparsa improvvisa di Davide Astori
Equilibrato e pacato, un animo semplice di ragazzo arrivato dalla provincia senza troppi grilli per la testa.
Era così Davide.
“Un uomo perbene”, il pensiero comune di queste ore.
Per queste sue caratteristiche, rispettato anche da chi indossava colori diversi.
Lui, nella sua Fiorentina, sapeva unire e non disgregare, incitare e responsabilizzare, senza mai svilire.
La fascia di Capitano, ereditata ad inizio anno, dopo l’addio di Gonzalo Rodriguez, era il suo orgoglio di campione sportivo; una fascia che ha rappresentato il giusto traguardo per chi, come Davide, è stato indubbiamente un vero collante per la sua squadra.
Davide Astori s’è ne andato così, nella notte tra sabato e domenica, nella silenziosa solitudine di una camera d’albergo, ad Udine, in una notte d’attesa per la partita del giorno dopo.
Una notte come tante non fosse che è stata la sua ultima notte.
Nato a San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo, cresciuto nelle Giovanili del Milan, Davide esordisce in Seria A come giocatore del Cagliari contro la Sampdoria, nel novembre del 2008.
Passerà alla Roma nel 2014 per approdare alla Fiorentina nell’agosto del 2015 firmando un contratto quadriennale ed esordendo nella partita contro il Milan del 23 agosto. Segnerà in suo primo gol in Viola nell’ottobre del 2016, nella partita di Campionato contro il Crotone.
In questi giorni, ironia della sorte, Davide avrebbe rinnovato a vita il suo contratto con la Fiorentina.
Per quanto riguarda la Nazionale, Davide segna il suo primo gol il 30 giugno del 2013 (quando militava ancora nel Cagliari) contro l’Uruguay. Un gol che, tra l’altro, piccolo aneddoto, è il primo gol di un giocatore del Cagliari in Nazionale a distanza di 40 anni da quel Italia – Svizzer del 1973 in cui a segnare era stato Gigi Riva.
Nel corso della sua carriera, Davide ha disputato 392 partite e ha messo a segno nove reti, lui un difensore abile nel colpi di testa che gli consentivano di essere incisivo su punizioni e calci d’angolo.
Al di là del suo Palmares ci piace ricordare soprattutto l’uomo che è stato; un persona tranquilla, amante dei viaggi on the road, con lo zaino in spalla, lontano dai riflettori come si addiceva alla sua personalità.
Davide, cresciuto con la passione del pallone, aveva soprattutto due grandi amori: la piccola Vittoria avuta dalla compagna Francesca Fioretti, conosciuta nel 2013 ad una festa quando Davide giocava a Cagliari e l’allenatore, Massimiliano Allegri, lo chiamava “Il Tedesco”, per la sua serietà.
Vittoria, una bimba come i tanti bambini che da ieri hanno invaso di disegni colorati lo stadio Franchi onorando così la memoria del campione. Anzi, per la verità, in questo caso, si potrebbe dire che questi disegni di colori non ne hanno, anche se sembra una contraddizione.
(Immagini tratte da Tuttosport.com)
In realtà, la tragedia della morte di Davide con il cordoglio corale che ha suscitato ha dimostrato che nel calcio non contano sempre e solo i colori e le appartenenze, le divise e le fedi, ma soprattutto le persone.
Peccato che ogni tanto venga dimenticato.
Silvia Sanmory
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