Era il 3 Luglio 1998 quando una traversa ci ricordò che anche una partita di calcio può essere maestra di Vita.
Era il 3 Luglio 1998 quando scoprimmo che un calciatore non può né deve essere considerato invincibile. Ma è Come tutti noi.
Noi Che sbagliamo e inciampiamo tutti i giorni. E da quelle cadute ci rialziamo. Ammaccati e sofferenti, ma pronti a ricominciare.
Era il 3 Luglio 1998 quando un calcio di rigore ci ricordò la volubilità della Vita.
Non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia.
Il 3 Luglio 1998 ci sentimmo tutti Gigi Di Biagio. E da lì imparammo che il calcio è davvero la metafora della Vita. La nostra.
E iniziammo ad amarlo di più.
La traversa di Gigi Di Biagio, quel rumore sordo e assordante che zittì un Paese intero ci ricordò che in campo non ci sono supereroi, ma lottatori.
Lottatori per un sogno. Sogno che a volte è raggiungibile, altre volte invece no.
Ma la caparbietà di chi ci prova fino alla fine non esce mai sconfitta.
“Vorrei che ogni bambino innamorato di calcio provasse quello che ho vissuto in quei cinquanta passi dal centrocampo al dischetto del rigore. Vorrei che ciascuno provasse quella sensazione di orgoglio, quell’adrenalina, responsabilità, che si sente in momenti così. Ero tranquillo, sicuro di segnare. Stavo bene fisicamente e mentalmente. Calciai con tutta la forza che avevo, dritto per dritto. Ma calciai troppo bene. Se l’avessi sporcato un po’, quel tiro…
Tutti ci siamo immedesimati in quei 50 passi, cinquanta passi fatti di adrenalina e di tensione. Di speranze e di paure. Di certezze e di dubbi. Sono tanti 50 passi. Ma anche pochi. Pochi per tornare indietro, per guardarsi intorno e scegliere di mollare.
Quei 50 passi rappresentano la nostra strada. Il nostro percorso di Vita e la direzione che possiamo darle.
In quei 50 passi noi ci ricordiamo chi siamo e perché siamo lì.
Ora.
https://www.youtube.com/watch?v=IwvRdBt9XFQ
Tutti noi abbiamo accompagnato Gigi Di Biagio in quei suoi 50 passi. Con lui abbiamo calciato quel calcio di rigore. La sua adrenalina era la nostra. Il suo orgoglio era il nostro.
E poi quella traversa. Simbolo della nostra vulnerabilità.
Basta un palo a ricordarci che viviamo costantemente sull’orlo del precipizio. A volte siamo bravi acrobati. Altre volte la corda si spezza e cadiamo.
Non è dalla nostra capacità di stare in equilibrio però che si giudicano coraggio e fantasia.
Gigi Di Biagio è stato il trapezista ferito di quel Mondiale.
L’acrobata dal filo spezzato.
Il coraggioso e fantasioso guerriero che voleva regalare un sogno.
Non ci riuscì, ma ci diede altro, ci diede pagine di Vita.
In quelle lacrime ritrovammo noi stessi e i nostri sbagli. Le nostre sconfitte simili alle sue.
Il 3 Luglio 1998 non c’erano calciatori e tifosi. C’erano persone, dentro e fuori quel campo.
Amaro e maledetto.
Dolce e benedetto.
Tifosi che si ritrovano a sentirsi come un calciatore.
Calciatori che si ritrovano a sentirsi uomini prima che campioni.
Mai come quel giorno ci sentimmo tutti uguali.
Non c’erano barriere, non c’erano differenze ideologiche, economiche, socioculturali.
Eravamo tutti fatti della stessa sostanza di un sogno spezzato.
Sono passati molti anni. I bambini sono diventati adulti, gli adulti sono diventati anziani.
Quel 3 Luglio 1998 appare tanto lontano ma così irrimediabilmente vicino.
Gigi Di Biagio oggi non gioca più e ha scelto di insegnare.
Perché al di là dei risultati, delle vittorie sul campo, dei successi e degli insuccessi professionali, solo chi è caduto sul campo può insegnare ai giovani l’ineluttabilità di una partita che altro non è che lo specchio della propria vita.
Giusy Genovese