Il 28 ottobre 1979 è una data tristemente
nota ad ogni tifoso laziale
Il 28 ottobre 1979, è stato ucciso allo stadio Olimpico, prima di un derby, un Uomo, un Padre ed un Tifoso.
Si chiamava Vincenzo Paparelli, aveva 33 anni, venne colpito ad un occhio da un razzo lanciato dalla curva avversaria.
Da quel tragico 28 ottobre, nulla tornerà più come prima nel mondo del tifo….
Un seggiolino vuoto ed una partita comunque disputata.
Vincenzo vive!
Vive in curva e tra la sua gente che si prodiga a mantenerne vivo il ricordo.
La sua memoria, troppe volte, però, è stata deturpata da striscioni e/o scritte apparse sui muri della Capitale. Gesti vili mai adeguatamente sanzionati.
Il suo ricordo viene custodito gelosamente dai propri familiari che non solo nel proprio percorso esistenziale, hanno dovuto subire tale tremenda ed inespiegabile tragedia ma che, ancora oggi, devono subire costantemente i gesti vigliacchi che abbiamo riportato sopra.
In particolare, suo figlio Gabriele, ha sempre mantenuto alto il ricordo del padre – portatogli via da bambino – ed ha sempre combattuto con la sua “bomboletta spray” contro le scritte oscene che imbrattavano Roma e, soprattutto, mortificavano la memoria di Vincenzo.
«…Leggere sui muri ‘10-100-1000 Paparelli’ è stata la maledizione della mia vita…»
In occasione del triste anniversario abbiamo raggiunto Gabriele per un’intervista. Anzi, mi correggo: abbiamo avuto l’onore di parlare con Gabriele e di sentire, dalla sua voce calma e pacata, il ricordo di Vincenzo.
Da tifosa, infatti, non nascondo al lettore, la grande emozione provata durante questo confronto con lui (che ringrazio per il tempo dedicatomi).
Cosa ha significato, in questi lunghi anni da quel tragico evento, essere Gabriele Paparelli ed aver vissuto a Roma?
E’ stato un nascondersi ed una sofferenza continua per via degli insulti e delle scritte che apparivano per Roma.
Un continuo coltello nella piaga!
Non ho potuto mai vivere la morte di mio padre in santa Pace! A
ncora oggi ho in macchina la mia bomboletta per cancellare eventuali scritte… Ma ha avuto anche un risvolto positivo, l’affetto intorno a me, l’affetto di un popolo. Papà è stato sempre ricordato da tutti. Del resto, parliamo di un ragazzo ucciso…aveva 33 anni…Ecco, ha significato questi due risvolti qui…
Hai, nonostante tutto qualche bel momento legato alla Lazio, visto che anche tua figlia è tifosissima?
Sì mia figlia è molto tifosa. Ed è molto legata al ricordo del nonno.
Quando vede sventolare, in Curva, la bandiera del nonno impazzisce, la cerca sempre. Infatti, ora è triste perchè non c’è il pubblico e non può vedere la bandiera.
Ed invece, qual è il tuo rapporto con il tifo e con la Lazio?
Inizialmente avevo un rifiuto, un rifiuto proprio verso il gioco calcio. Poi ha prevalso la passione per lo stadio e per i colori.
Un modo per proseguire l’eredità di mio padre che era un grandissimo tifoso (ed infatti quella domenica anziché stare a casa ha scelto di andare allo stadio, come era uscito il sole): per lui la Lazio era tutto. Mi piace pensare, quando sono allo stadio e vedo un seggiolino vuoto che lui stia lì…
Un ricordo di tuo padre tifoso.
Papà scommetteva tanto. Ma non quello che possiamo pensare oggi. Erano delle scommesse da bar, senza soldi, che faceva con gli amici. Soprattutto con gli amici della Roma prima dei derby. Erano degli sfottò tra di loro, che poi, purtroppo non sono più esistiti…
Cosa ti senti di dire, ad un giovane, che si appresta a frequentare la curva o comunque le frange più estreme del tifo; quando ovviamente si potrà far ritorno allo stadio!
Del mondo ultras non si dice tutto. Ad esempio ho conosciuto Gli Irriducibili, fanno molto: fanno molta beneficenza, fanno cose utili per la società. Quindi mi sento di dirgli di prendere questo, che è il lato positivo.
Isolate i volenti! La violenza non c’entra nulla con lo sport!
Annalisa Bernardini