Alla fine dell’estate del 1928 la svolta, in Premier League compaiono i primi numeri di maglia dietro le casacche dei giocatori.
Sono Arsenal e Chelsea a cominciare la tradizione dei numeri di maglia per un’esigenza puramente pratica.
Stava diventando difficile identificare un giocatore in mezzo al campo, sia per i primi giornalisti che per allenatori e calciatori.
Tenere le marcature o semplicemente cercare un compagno risultava un compito molto meno arduo con la comparsa dei numeri di maglia.
Prima c’era molto rigore nell’assegnazione del numero e nessun giocatore poteva sceglierlo a proprio piacimento.
Una situazione estremamente lontana dai giorni nostri, in cui vediamo calciatori prendere i numeri più disparati.
7 Nani e altri: quando i numeri di maglia e i nomi dei calciatori creano ilarità
Quando il nome si lega indissolubilmente al numero di maglia inizia un vero e proprio business, come quello di CR7, in cui spesso sono coinvolti anche gli sponsor.
James Rodriguez, da poco giunto al Bayern Monaco, affrontò una vera odissea con l’Adidas dato che il numero 10 era da sempre sulle spalle di Arjen Robben.
Nel 1928 assegnare i numeri di maglia era molto più semplice perché ogni posizione in campo aveva il proprio numero.
L’1 sempre al portiere, il 2 e il 3 per i difensori centrali, dal 4 al 6 per i mediani e dal 7 in poi fino all’11 per gli attaccanti da destra verso sinistra.
Così nacque il mito del numero 10, che solitamente era il giocatore offensivo più centrale che proprio per questo segnava più goal.
L’idea delle due squadre di Londra piacque molto a tutta Europa e presto le squadre di ogni campionato adottarono questo nuovo metodo.
Il primato però resta incredibilmente degli Stati Uniti, in cui i numeri di maglia vennero utilizzati già nel 1924.
Federica Vitali