14 maggio: il diluvio di Perugia e quello scudetto segnato dal destino

“In questo istante Collina dichiara concluso il confronto, sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000, la Lazio è Campione d’Italia!”

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S.S. Lazio
Fonte Immagine: Profilo twitter ufficiale S.S. Lazio

“In questo istante Collina dichiara concluso il confronto, sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000,
la Lazio è Campione d’Italia!”.

Queste parole di Riccardo Cucchi, a chiusura della radiocronaca di Perugia-Juventus; sono scolpite nella memoria dei tifosi biancocelesti, quasi come un mantra.

Quel giorno, a Perugia, sotto il diluvio (così assurdo da rendere celebri le immagini di Collina che tenta di far rimbalzare il pallone sul campo per decidere se sospendere la gara o meno), la zampata di Calori mette fine ai sogni tricolore dei bianconeri e regala alla Lazio il secondo tricolore della sua storia. 

A voler essere onesti, quello scudetto, la Lazio lo avrebbe meritato anche nella stagione precedente, quando fu il Milan a vincerlo (sempre all’ultima giornata) dopo un’incredibile stagione dei biancocelesti.

L’anno successivo, il destino ci ha messo lo zampino (o il diluvio, chi può dirlo) e ha rimesso in equilibrio le cose, almeno per la Lazio.

E a pensarci bene, proprio grazie al gol di Alessandro Calori, un tifoso juventino che quella rete – forse – non avrebbe mai voluto segnarla. 

Il destino alle volte gioca brutti scherzi (o riequilibra le cose, a modo suo).

Nella penultima giornata di quel campionato, infatti, la Juventus vince 1-0 contro il Parma, grazie alla rete di Del Piero ma l’arbitro decide di non concedere un rigore al Parma e di annullare un gol (regolare) a Cannavaro.

Se la Juventus avesse pareggiato quel match, la Lazio si sarebbe trovata a pari punti con i bianconeri e le polemiche, ovviamente, non tardarono ad arrivare.

Nell’ultima giornata, la Juventus ha un vantaggio di 2 punti sui biancocelesti. I bianconeri si presentano a Perugia con 2 risultati utili su 3 per conquistare lo scudetto.

Quello con cui non avevano fatto i conti è, ancora una volta, il destino.

Il 14 maggio, su tutta la penisola splende il sole, tranne che su Perugia. Un diluvio universale si abbatte sul Curi e a Collina non resta che sospendere temporaneamente il match per impraticabilità del campo.

Mentre la Lazio, all’Olimpico, strapazza senza grandi difficoltà la Reggina (reti di Inzaghi, Veron e Simeone) a Perugia è tutto fermo.

Collina continua a verificare le condizioni del campo per oltre un’ora, fino a decidere per la ripresa della gara. Al momento della ripresa, il risultato è sullo 0-0. Le due squadre sono entrambe a 72 punti e si prospetta lo spareggio tra le due, per decretare il vincitore del torneo.

Al 4’ della ripresa, la zampata di Calori batte Van der Sar e porta il Perugia insperatamente in vantaggio. L’unico tiro nella porta bianconera di tutto il match. Destino, si dice… 

Nel frattempo, allo Stadio Olimpico, dopo il boato per la rete di Calori, cala il silenzio.

Un’atmosfera surreale, un susseguirsi di notizie arrivate dalle radio (nel 2000 la paytv era ancora per pochissimi eletti), fino all’ultimo assalto dei bianconeri, con Inzaghi che spreca la palla del pareggio.

Dopo quell’ultima azione, arriva il fischio finale. L’Olimpico esplode. La Lazio è campione d’Italia, quando nessuno ci sperava più. Nessuno osava crederci.

Il destino, dicevo, a volte sa essere beffardo. Ma per questa volta, almeno, ha premiato la tenacia, la voglia di conquistare un traguardo insperato, una vittoria che porta la firma di tutti: dal portiere al magazziniere, senza escludere nessuno. 

Il 14 maggio racconta la Lazio. Grandi imprese, traguardi troppo spesso sfiorati e sfumati all’ultimo istante, ma il bello dell’essere laziali, in fondo, è tutto qui dentro. Non molliamo mai.

 

Micaela Monterosso