Sono passati 14 anni da quel tragico 11 settembre 2001, il giorno che ha cambiato per sempre il mondo, ma il ricordo e il dolore sono sempre vivi. Impossibile dimenticare: il volo American Airlines 11 è stato dirottato e si è schiantato alle 09:46 ora di New York fra il 94º e il 98º piano della Torre Nord del World Trade Center. Il velivolo è entrato quasi completamente intatto all’interno della Torre, raggiungendo il centro e tranciando in due i sostegni in gesso di tutte e tre le trombe delle scale dell’edificio causando un tremendo incendio. Trentatre minuti dopo, in diretta mondiale, il secondo aereo, il volo United Airlines 175, si schianta contro la torre sud. Non c’è bisogno di altre spiegazioni per capire che si tratta del più grande attentato della storia degli Stati Uniti e del mondo intero. Altri due aerei dirottati verso Washington e il Pentagono, precipitano lontano dagli obiettivi. Fra le 09:58 e le 10:28 entrambe le torri collassano su se stesse provocando una nuvola di polvere e detriti che seppellisce Manhattan ed i newyorkesi che vengono travolti da quella marea di terrore. L’11 settembre è stato anche il giorno in cui il calcio perse una grandissima occasione per mostrare la propria sensibilità di fronte e certe tragedie. Quella sera infatti era in programma la prima giornata della Champions League 2001/02. In campo Roma-Real Madrid e Galatasaray-Lazio. Ma si gioca? La Uefa decide di si. Una scelta fatta per motivi di ordine pubblico e che riguardò tutte le partite di quella sera, giocate in un clima irreale, con la netta sensazione che il minuto di silenzio prima del calcio d’inizio fosse irrilevante, davanti all’evidenza di un momento storico in cui tutto, anche una giornata di Champions League, sarebbe dovuto passare in secondo piano. Le cronache di quel giorno parlano di un Franco Sensi determinato a non voler giocare la partita al pari di Franco Carraro, obbligati dalla volontà del Segretario Generale della UEFA Gerhard Aigner, che minacciò lo 0-3 a tavolino per chi non si fosse presentato in campo. L’Olimpico si riempie, alle 20:44 è tutto pronto. L’aria è pesante e surreale e anche la Sud è timorosa . Le televisioni satellitari hanno difficoltà di segnale ed il primo tempo, nel quale succede poco o nulla, è quasi del tutto oscurato. Finisce 2-1 per il Real Madrid.
Qualche anno dopo, in un’intervista a Sky, Vincenzo Montella raccontò di quella sera:
“Eravamo basiti, incollati allo schermo, come tutti. Le immagini parlavano da sole, sconvolgenti… Furono momenti di sgomento, ma noi dovevamo anche pensare che di lì a poco ci saremmo trovati di fronte il Real… E invece arrivammo allo stadio discutendo solo delle notizie che provenivano da New York. Ci guardavamo in faccia soltanto in attesa di avere qualche novità. Finché, all’ultimissimo istante, non ci comunicarono che si sarebbe giocato”.
Anche Fabio Capello, nelle dichiarazioni del dopo-partita, rincarò la dose:
“Ero convinto che non avremmo giocato e questo era anche il pensiero dei ragazzi. Sarebbe stato più giusto dare un segnale al mondo intero. Non si poteva trattare di una festa, siamo scesi in campo portandoci dietro un peso grosso come un macigno”.
Il giorno dopo, la Federazione rinviò le partite in programma. Una decisione che rese ancora più evidente il fatto che non fosse possibile, quella sera, parlare di calcio.
Barbara Roviello Ghiringhelli