11 giugno 1933, quando le Giovinette sfidarono il fascismo e il sessismo

L'11 giugno 1933 si giocò la prima gara pubblica di calcio femminile ma, giocare a calcio negli anni'30, in Italia, era per una donna un guanto di sfida che, per certi versi, lo è anche oggi

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fonte immagine: http://www.uisp.it/nazionale

1933, Milano, i sogni di un gruppo di ragazze furono bruscamente interrotti dal regime…

Si tratta di una trentina di donne tra i 15 e i 20 anni che, ai giardini di Porta Venezia, a Milano, fondarono la prima squadra di calcio femminile in Italia.

Rosetta, sedici anni, amante del calcio e tifosa dell’Inter proprio come le sorelle, Giovanna -la maggiore- che aderì a quell’avventura soprattutto per gesto politico e Marta che intendeva combattere per la libertà.
Oltre alle Boccalini c’erano la coraggiosa Zanetti, Losanna Strigaro che si occupava di scrivere ai giornali e Lucchi che si scontrò con la netta opposizione paterna.

Nell’atrio dell’Istituto magistrale milanese Rosa Molteni Mussolini, venne loro l’idea.

Pian piano fondarono il Gruppo Femminile Calciatrici che tutti i mercoledi alle 18 si riuniva a casa di una di loro per discutere sul da farsi, di tecnica e di schemi e che intendeva raccogliere coloro che avessero voglia di praticare “lo sport del calcio come esercizio fisico”.

Dalla ideazione ai fatti: iniziarono gli allenamenti e catturarono l’interesse della Cinzano come sponsor.

Il calcio, come si evince dai titoli apparsi sui quotidiani dell’epoca, era considerato poco rispettabile e per niente femminile.

«L’Italia fascista aveva bisogno di buone madri, non di “virago calciatrici”».

Nonostante la diffidenza al “giuoco del calcio” praticato da donne, Leandro Arpinati, capo del Coni e della Figc che aveva già aperto le porte alla pallacanestro femminile, concesse loro l’autorizzazione ma a patto che le ragazze giocassero a porte chiuse, con la gonna lunga, scarpe scomode e senza alzare troppo la voce per evitare di attirare troppo l’attenzione.

L’11 giugno del 1933 le giovinette giocarono la loro prima e unica partita di calcio. A quella partita accorse un nutrito pubblico, perché nel frattempo erano diventate famose e discusse da attirare appassionati e curiosi.

Ben presto, con il successore di Arpinati, Achille Starace, fedelissimo del regime, la squadra fu chiusa.

Il fascismo impedì a quel manipolo di “tifosine” milanesi — come erano bollate — di giocare.  

Starace,  infatti, impose la chiusura del Gruppo femminile calcio e spedì i funzionari del Coni a saccheggiare le squadre per trovare ragazze da trasformare in atlete di altri sport.

Ma loro desideravano solo giocare per condividere qualcosa di allegro e coinvolgente cercando di allontanare i pensieri negativi… visti i tempi difficili…!

«..Amo moltissimo il giuoco del calcio, un amore tenace il mio, non un fuoco di paglia. Le mie compagne hanno tanta passione e buona volontà: non tramonteremo mai…»
Rosetta Boccalini

Bisognerà aspettare il 1968 per vedere il primo campionato ufficioso di calcio femminile, il 1986 per avere quello istituito da una Federazione strutturata.

Ma, a 90 anni di distanza, la loro vicenda è diventata un romanzo.

La giornalista del Corriere Federica Seneghini, attraverso documenti dell’epoca, testimonianze dell’ultima superstite e dei loro parenti, ricostruisce la vicenda di quelle Giovinette – Le calciatrici che sfidarono il Duce”.

Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duceCon Marco Giani, che ha svolto il ruolo di consulente storico per il libro, accompagnandolo con un saggio che aiuta a capire meglio quel ventennio caratterizzato di restrizioni e regole, la loro storia è emersa prepotentemente a distanza di anni e rappresenta una testimonianza di una pagina di storia rimasta per troppo tempo avvolta nell’ombra.

Giocare a calcio negli anni Trenta in Italia era per una donna un guanto di sfida; fu chiesto loro di praticarlo in modo «moderato» per evitare che una pallonata potesse comprometterne la fertilità.

Il coraggio e la determinazione di quelle ragazze che sfidarono il sessismo dell’epoca fascista è un insegnamento per tutti.

Non siamo più nel ’33 ma c’è ancora qualcuno che pensa che sia strano che le donne giochino a calcio. Perché, come ha detto Marco Giani, «In un Paese sessista come l’Italia, il football rimane una questione di genere».