In esclusiva per i microfoni di GolDiTacco, Fabrizio Moro, in concerto il prossimo venerdì 24 aprile al Teatro Dal Verme di Milano, presenta il suo nuovo album, “Via delle Girandole 10“, una raccolta di brani viscerali, poetici e soprattutto personali, che sanno arrivare dritti all’anima di chi sa ascoltare. Nell’album, c’è spazio anche per il calcio, e per i tanti temi caldi legati al mondo del pallone, che sempre fanno discutere: la sacralità della domenica sugli spalti, gli ultras, la violenza, la morte di tifosi come Gabriele Sandri e Ciro Esposito, la daspo… e l’importanza del tricolore.

“Via delle Girandole 10” viene definito il tuo album più “personale”. Sei d’accordo con questa definizione?

Certo, mi ci ritrovo molto. Anche all’interno degli album precedenti c’era il mio “personale”, però non sono mai mancati riferimenti all’ambiente circostante e alla società. Ora è diverso. Nella mia vita, in questi ultimi due anni, sono successe molte cose, sia belle sia meno belle. E in questo nuovo album Fabrizio è al centro dell’attenzione: nella canzone Buongiorno Papà, per esempio, parlo di un mio non rapporto con mio padre; in questo nuovo album racconto delle persone a me più care e tento di esorcizzare tutte le sensazioni di questi due anni, fondamentali per la mia vita, descrivo in musica una sorta di cambiamento. Ho preso la chitarra e mi sono chiuso in intimità, anche dal punto di vista musicale.

Perché la canzone La partita? Com’è nata in te l’idea di scrivere questo brano?

Ho iniziato a scrivere questa canzone dopo aver incontrato i genitori di Gabriele Sandri durante il Roma Rock Festival. Con questo brano, che ho continuato e poi concluso dopo la notizia della morte del tifoso Ciro Esposito, ho voluto dar risalto alla parte bella delle tifoserie, che la televisione e i giornali troppo spesso descrivono come il male del calcio. Non tutti gli ultras sono uguali, e i tifosi sono il bene del calcio, non il suo male. Quelli che vanno allo stadio a fare “sommosse” non possono nemmeno essere chiamati ultras. 

Che cosa simboleggia, in primis, questa canzone?

La partita è il mio personale inno agli ultras, a tutti quei tifosi che, per ben novanta minuti, stanno con il fiato sospeso guardando la loro squadra del cuore e vivono un momento di sacralità. E a tutti quegli operai, quei lavoratori che allo stadio ci vanno con passione e sentimento.

Qual è il tuo rapporto con il calcio?

Tifo Lazio e seguo il campionato, anche quello francese e quello spagnolo, ma la mia non è una fede vera e propria. Nella mia famiglia ci sono molti romanisti, così da piccolo ho deciso di andare controcorrente per non annoiarmi e far nascere un po’ di “sana competizione” tra parenti. Quando c’è il derby tifo Lazio, ma se per esempio giocano Roma e Juve allora preferisco i giallorossi. 

Torniamo per un momento alla canzone La partita. I temi sono molto forti e attuali. Parli di “boicottare la televisione” e di “giornalisti terroristi che raccontano un mondo di bombe e teppisti perché la verità viene sempre deviata”. Qual è il rapporto moderno tra musica e televisione/giornalismo?

Sono due cose completamente diverse. Purtroppo, gli artisti che vivono solo di televisione sono tanti, basta pensare ai talent show. Quello della tv è un altro tipo di lavoro. Quello che dovrebbe fare un vero artista è iniziare a suonare uno strumento, mettere nella musica i propri sentimenti al di là di quello che la televisione può dare. Poi, se durante questo percorso si associa la visibilità mediatica ben venga. È il percorso del “live” che ti fa trovare la credibilità, la possibilità di creare un’etichetta indipendente. La tv non è fondamentale, soprattutto agli inizi. 

Tre parole per descrivere la musica…

Beh, direi senz’altro “vita, speranza e coraggio”.

E per il calcio?

Ancora una volta “vita”. Poi, “comunione e fede”.

Eleonora Tesconi